sabato 9 settembre 2023

Cile
(1/3) Cinquant'anni fa, 11 settembre 1973: il cardinale Raúl Silva Henríquez e l’agonia del Cile

(Luis Badilla - a cura Redazione "Il sismografo")
Cinquant'anni fa - l'11 settembre 1973 - verso le sette del mattino chiamai il mio arcivescovo, Cardinal Raúl Silva Henríquez, che conoscevo da piccolo, da quando lui era il Rettore del Collegio San Giovanni Bosco e io un allievo. Volevo informarlo di quanto mi era stato raccontato, due ore prima, da amici residenti nella città di Valparaíso, il porto principale del Cile, e dove lui era stato vescovo nominato da Giovanni XXIII. Le notizie erano, seppure confuse e senza riscontri, orrende e incredibili: la città stretta fra le montagne e il Pacifico era nelle mani della Marina militare, la prima a far vedere - nel cuore della notte - la natura vera dei golpisti di Pinochet. Si parlava già di persone giustiziate per strada o nella propria casa, altre buttate in mare come  sacchi della spazzatura, centinaia di arresti arbitrari, i primi cadaveri lasciati per strada ... I golpisti si fecero vivi, apertamente, occupando la radiotelevisione, verso le 5 del mattino."Non ci sono più le stelle"
Don Raúl ascoltò il mio racconto, nervoso e inorridito, senza dire neanche una sola parola. Nel momento del congedo mi disse: "Vedi di proteggere bene te e la tua famiglia. Sai, questa notte non ho dormito. Ho lavorato e pregato. La notte è fredda, molto buia. Sembra che il mattino non voglia arrivare. Oggi non ci sono stelle, Luis".
Il porporato deceduto nell'aprile 1999 a 92 anni, oggi molto amato e ricordato e non solo in Cile, resterà nella memoria di molti cattolici e non cattolici come una delle figure monumentali della storia latinoamericana. E' impossibile, anche per i non credenti, ricordare i fatti del golpe di Pinochet del 1973 senza la presenza viva tuttora di Salvador Allende e  di Raúl Silva Henríquez, uomini diversi ma tutti e due uomini integerrimi, uomini di pace e giustizia, e ciascuno a modo suo tenace e intransigente difensore della vita umana e della dignità delle persone.
Allende, la sua famiglia e il cardinale Silva Henríquez
Ho conosciuto il Presidente Salvador Allende, con il quale ho collaborato, e due delle sue tre figlie: Isabella (1945) e Beatrice (1943 – 1977). Ebbi la fortuna di conoscere, dopo il golpe, la vedova Hortensia Bussi (chiamata affettuosamente “Tencha” – 1914 - 2009), donna gentile e mite, la quale nonostante la sua età e fragile salute girò il mondo perorando la causa della democrazia e della difesa dei diritti umani. Con lei e con Beatrice ho fatto negli anni ’70 diversi viaggi in Europa per incontrare uomini di governo e favorire l’accoglienza dei rifugiati cileni e raccogliere denaro per i partiti democratici cileni, mal ridotti, con i loro vertici decapitati e nella clandestinità.
Più di una volta sono stato latore di messaggi fra il Presidente e il Cardinale, e oggi guardando indietro con gratitudine sono certo di aver conosciuto due giganti morali dimenticati troppo presto.
Ultimo tentativo per salvare il Paese
Nel 1973, già nel mese di maggio la situazione politica cilena si presentava irreversibilmente degenerata e la domanda era una sola: quando e come arriverà il golpe militare. Salvador Allende, schiacciato tra coloro che volevano una radicalizzazione programmatica in senso socialista estremo e coloro che preferivano una pausa per consolidare le riforme conquistate (scelta ritenuta da alcuni "socialdemocratica moderata"), decise di prendere l'iniziativa per stabilire un dialogo sincero e trasparente con l'opposizione, la Democrazia cristina.
Provò in diversi momenti un dialogo con l'ex Presidente e leader carismatico del Partito Democratico Cristiano guidato, formalmente, dal senatore Patricio Aylwin, ma controllato dall’ex Presidente Eduardo Frei. Non fu possibile. Frei rifiutò sempre qualsiasi incontro poiché, come dimostrano i fatti successivi al golpe del 1973, lui era già parte di un complotto per rovesciare Allende.
Decide l'ex Presidente Eduardo Frei
Alla fine, con la mediazione del cardinale Silva, che offrì la "modesta tavola di casa sua", fu possibile un incontro tra Allende e Aylwin. Era il venerdì 17 agosto 1973. Al dialogo vero e sincero tra i due non seguì nessuna iniziativa. Tutto era paralizzato, in primo luogo i partiti di governo e dell’opposizione. La situazione politica del Paese alla vigilia dei mille giorni di governo della coalizione dell’Unidad Popular era compromessa irrimediabilmente.
Alcune testimonianze molto autorevoli assicurano che la notte tra il 10 e l'11 settembre Salvador Allende scrisse la bozza di un suo discorso alla nazione per annunciare un referendum assicurando che se perdeva presentava subito la sua rinuncia. Non c'era una alternativa per uscire costituzionalmente dalla crisi.
La richiesta a Papa Paolo VI
Mentre lui scriveva questa bozza e il cardinale Silva pregava, le Forze Armate, che complottavano dal mese d'aprile come riconobbe lo stesso Pinochet giorni dopo il golpe, avevano messo in motto una crudele e spietata macchina militare per rovesciare il Presidente Allende.
Allende, nella casa del cardinale, alla fine dell'incontro, convinto che si poteva trovare una soluzione democratica e pacifica, disse: "Questo è il Cile: il Presidente della Repubblica, massone marxista, incontra il capo dell'opposizione, nella casa del cardinale. Ciò non è possibile in nessun altro paese".
Purtroppo per il Paese, per milioni di cileni, per molte generazioni, questa certezza di Allende non era vera perché dietro a tutto ciò c'era, dal giorno dopo la vittoria della Unidad Popular, come ha scritto Henry Kissinger, la decisione presa con il Presidente Nixon di mettere fine a questa esperienza non appena possibile. Allora i tempi erano altri e quindi il fattore definitivo fu la guerra fredda che fagocitava ogni cosa.
Il fallimento
Oggi, a 50 anni di distanza, si deve dire che il Presidente Allende e il cardinale Silva fecero di tutto fino all'ultimo istante per evitare una delle peggiori tragedie dell'America Latina del '900. Salvador Allende finì la sua vita con il suicidio nell'instante in cui finiva la sua esperienza politica, fallita a causa dei molti errori politici e programmatici, ma anche dell'assoluta inconsistenza dell'alleanza che lo sosteneva, rissosa e pressapochista, così come dell'ostilità intervenzionista di Washington.
Fra macerie gigantesche di dolori, lutti e sofferenze, da subito, il popolo cileno identificò nel su pastore più conosciuto e amato l'ancora per salvarsi: don Raúl Silva Henríquez. Questa però un’altra storia, quella della speranza che non tace mai. La storia di un sacerdote e vescovo che dedicò la vita alla difesa della dignità umana senza tentennamenti e senza indietreggiare di fronte al potere.
Alcuni mesi dopo che ho lasciato il Cile con il suo aiuto, e quello dell'allora arcivescovo di Città del Pánamá, Marcos McGrath (1924 - 2000), ci siamo incontrati in Vaticano negli uffici del vice direttore dell'Osservatore Romano don Virgilio Levi (1929 - 2002). Ho chiesto allora a don Raúl il perché Papa Paolo VI non aveva condannato il golpe seppure era severamente critico. Il cardinale rispose: "Sono stato io a pregare S. Santità di non affrontare pubblicamente la questione perché Pinochet avrebbe reagito male, accrescendo la violenza. Perciò ho molto ringraziato il Santo Padre. Il suo è stato un doloroso atto di amore verso i cileni."
Poi ebbi la possibilità d'incontrare anche io Papa Paolo VI al quale, in uno di questi incontri, feci la medesima domanda. "Mi è stato chiesto dai vescovi cileni e penso che abbia aiutato  molti perseguitati", rispose il Pontefice.