(Giovanni Maria Vian, Domani) Tra le affermazioni disseminate nella pioggia d’interviste, ormai
inevitabilmente ripetitive, che il papa ha rilasciato per i dieci anni
del suo pontificato, risonanza mediatica ha avuto la sua risposta – per
la verità non nuova – sulla possibilità che il celibato sacerdotale
possa essere dichiarato facoltativo. La sua formulazione più articolata e
completa si ritrova però nell’ultimo libro di Francesca Ambrogetti e
Sergio Rubín, che Bergoglio conosce da oltre vent’anni.
Nel libro El Pastor,
pubblicato in Argentina per il decennale, Francesco ribadisce che il
celibato «è una questione disciplinare, e questo significa che un papa
potrebbe disporre che sia opzionale». «Per quanto mi riguarda», ha però
affermato, «rispetto la tradizione della chiesa di occidente». Un
cambiamento potrebbe avvenire? «In ogni caso lo decida, se lo crede
conveniente, il papa che mi succederà», e ha concluso: «È vero che se
uno vive male il celibato, è una tortura, qualcosa d’impossibile. Ma non
è meno vero che se uno lo vive con la fecondità del ministero che ha
scelto, non solo è facile ma bello».
Il dibattito
Non è la prima volta che Bergoglio rivela il suo pensiero. Tornando nel
2014 dalla Terra santa – dove si concentrano minoranze, peraltro sempre
più esigue, di cristiani e di cattolici appartenenti a diverse
tradizioni rituali – il papa aveva ricordato che «nel rito orientale ci
sono preti sposati. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una
regola di vita che io apprezzo tanto, e credo che sia un dono per la
chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta». Una
porta che però Francesco in questi dieci anni ha ritenuto non
conveniente aprire, in continuità con i suoi predecessori.
La
questione infatti non è semplice. Lo ha mostrato un breve ma concentrato
contributo sul sacerdozio scritto nell’estate del 2019 da Benedetto XVI.
Il testo era stato incluso alcuni mesi più tardi nel libro del
cardinale Sarah, un’iniziativa che entrò, chiaramente strumentalizzata,
nel dibattito sul celibato. La questione sembrava infatti in qualche
modo riaperta dopo il sinodo sull’Amazzonia sull’opportunità di ordinare
preti dei viri probati, cioè uomini sposati la cui fede sia
sperimentata nelle comunità di appartenenza. Le polemiche furono però
così forti che il papa emerito, amareggiato, decise da allora di non
pubblicare più nulla.
Ma sul tema Ratzinger è tornato ancora,
rivedendo e ampliando il suo testo, di carattere più teologico che
storico, e ora edito in Che cos’è il cristianesimo (Mondadori).
Fondandosi con finezza sull’analisi dei testi biblici, Benedetto XVI
ipotizza che per i sacerdoti cristiani, «sulla base della celebrazione
giornaliera dell’Eucaristia, e sulla base del servizio per Dio che essa
includeva, scaturì da sé l’impossibilità di un legame matrimoniale». E
all’obiezione odierna «che si tratterebbe di un giudizio negativo sulla
corporeità e sulla sessualità», critica avanzata già nel IV secolo, gli
antichi autori cristiani replicarono «con decisione» perché
consideravano il matrimonio «un dono dato da Dio nel paradiso».
Alle origini
In realtà la storia del celibato è più complicata e affascinante, ed è
raccontata con rara capacità di sintesi e di chiarezza nel libro di un
giornalista francese. Deve cambiare oggi questa disciplina della chiesa
in occidente, che nel corso di un millennio è divenuta «un quasi-dogma»?
A chiederselo – nel libro Il celibato dei preti, legge ecclesiastica che ha decisamente «una cattiva stampa» – è Jean Mercier, autore poi del romanzo Il signor parroco ha dato di matto (come il primo pubblicato in Italia dalle Edizioni San Paolo).
Il contesto attuale è quello della rarefazione delle vocazioni
sacerdotali e della tragedia costituita dagli abusi clericali, che hanno
acceso di nuovo i riflettori sull’opportunità di mantenere nella chiesa
di rito romano questa disciplina. Ma la scelta del celibato per motivi
religiosi, pur caratteristico del cattolicesimo occidentale, ha
precedenti – sia pure molto rari – anche nel contesto filosofico
ellenistico e nel giudaismo intorno all’inizio della nostra èra.
Gesù era certamente celibe, nonostante infondate ipotesi contrarie rese popolarissime dal Codice da Vinci,
e celibe era Giovanni Battista, l’asceta che Luca all’inizio del suo
vangelo presenta come parente dello stesso Gesù. Ma lo erano anche,
secondo tradizioni antiche, l’apostolo Giovanni e certamente Paolo, come
si desume dalle sue lettere. Scelta di continenza che viene illustrata
da un detto riferito nel vangelo secondo Matteo al diciannovesimo
capitolo, dopo la discussione sull’unione originaria tra uomo e donna e
sul ripudio: «Vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre,
e vi sono eunuchi che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono
eunuchi che si sono fatti eunuchi a causa del regno dei cieli. Chi può
capire capisca».
Il brano, misterioso ma storicamente attribuibile a Gesù, è spiegato bene nel commento della Tob, l’eccellente Traduction œcuménique de la Bible,
pubblicata in Francia da cattolici, ortodossi e protestanti nel 1972 e
in una nuova edizione aggiornata nel 2010. Questa affermazione «rivela
una situazione nuova determinata dalla venuta del Regno dei cieli. Non
si tratta di una critica del matrimonio, ma di un’eccezione escatologica
non obbligatoria: certi uomini sono talmente presi dal Regno dei cieli
che non si sposano».
Pietro, su cui si fonda la chiesa di Roma,
era invece sposato. Cristo infatti guarisce da una febbre sua suocera, e
il miracolo è riferito dal vangelo di Marco proprio all’inizio (e dai
paralleli in quelli di Matteo e di Luca). Nulla si sa della moglie del
primo degli apostoli, ma il dato appare sicuro – confermato, come per
«gli altri apostoli», da una lettera autentica di Paolo, la prima ai
Corinzi (9, 5) – ed è all’origine dei racconti apocrifi che al primo
degli apostoli attribuiscono una figlia, Petronilla. Una donna, dunque, e
non un maschio, che tra l’altro, ormai sul finire dell’antichità,
esclude per questo motivo nelle successioni papali ogni pretesa
dinastica.
Compresenza
Nel
cristianesimo dei primi secoli si registra la compresenza delle scelte
opposte per il celibato e per il matrimonio, con conseguenti
teorizzazioni e provvedimenti. Presbiteri e vescovi possono insomma
essere sia celibi che sposati, tanto in oriente che in occidente, almeno
sino al VI secolo, con papi sposati – prima dell’ordinazione – come
Felice III, bisnonno di Gregorio Magno che lo ricorda, e Ormisda, padre a
sua volta di papa Silverio, anch’egli sposato: tutti venerati come
santi dalla liturgia romana. Ma senza dubbio si tende sempre più a
privilegiare il celibato, che tra l’altro permette e assicura l’accumulo
e la conservazione di patrimoni ecclesiastici. In ogni caso si esclude
dappertutto la possibilità che un prete o un vescovo ordinato possa
sposarsi.
Ondivaghe e appassionanti sono le vicende storiche,
dalla riforma gregoriana che nell’XI secolo impone nella chiesa latina
il celibato, alla rivoluzione protestante che all’inizio dell’età
moderna lo abolisce. Sino alla bufera della Rivoluzione francese che lo
impone al clero cattolico e, in anni recenti, alle ordinazioni
clandestine di uomini sposati nella Cecoslovacchia occupata dai
sovietici e alla vicenda boccaccesca del vescovo africano Emmanuel
Milingo.
Vocazione e matrimonio
Teologia e diritto nelle diverse confessioni cristiane si affinano negli
ultimi decenni e, anche nelle ricostruzioni storiche, risentono di un
dibattito che s’infiamma per l’impatto della rivoluzione sessuale sulla
tradizione cristiana ben ricostruito da Margherita Pelaja e Lucetta
Scaraffia (Due in una carne, Laterza).
Ma, a
valorizzare fortemente il matrimonio rispetto ai predecessori, è lo
stesso Giovanni Paolo II che, al tempo stesso, rilancia con forza il
celibato sacerdotale. Come a facilitare l’entrata nella chiesa cattolica
di molti preti anglicani sposati è stato proprio Benedetto XVI. In uno
scenario completamente mutato che oggi farebbero fatica a riconoscere
Sofia Loren e Marcello Mastroianni, protagonisti nel 1970 del film La moglie del prete
di un amaro Dino Risi. Quella ipocrisia cattolica di allora certamente
non è superata, ma la questione è oggi ancor più radicale, perché
riguarda la difficoltà di mantenersi fedeli a ogni scelta di vita.