domenica 15 gennaio 2023

Vaticano
Dal libro di mons. Gänswein "Nient'altro che la verità". La vicenda dell'appartamento del Prefetto nel 2016

(a cura Redazione "Il sismografo")
Ormai è noto che mons. Georg Gänswein,  entro mercoledì 1° febbraio al massimo, dovrà lasciare l'appartamento che occupava per stare vicino al Papa emerito J. Ratzinger nel Monastero Mater Ecclesia. L'ordine o richiesta, come sempre, è arrivato dall'alto, vale a dire dal Papa stesso, il quale - curiosamente - da sempre interviene personalmente nella questione dell'assegnazione degli alloggi, in particolare quando si tratta di membri dell'alta gerarchia. L'intervento del Papa si fa sentire anche quando si tratta di far sloggiare dal Vaticano qualcuno che non è più nelle sue grazie. E' accaduto con diversi dei suoi collaboratori allora molto importanti. Quasi sempre a questo punto si fa viva con l'intteressato la Gendarmeria vaticana.
Va ricordato tra l'altro che le vicende vaticane riguardanti appartamenti, cominciano con lo stesso Pontefice che decise dopo la sua elezione (13 marzo 2013) di non vivere nel Palazzo Apostolico e prendere invece un piccolo appartamento della Casa Santa Marta.
Nel contesto di questi fatti poco conosciuti e sopra ricordati, ci è sembrato interessante questo passaggio del libro di Mons. Gänswein  "Nient'altro che la verità". 
Al mattino del 22 luglio 2016 attendevo come di consueto  Papa Francesco a San Damaso, dove si prende l’ascensore Nobile. Lui scese dall’automobile e subito mi disse: «Ho  sentito che lei ha l’appartamento nel Palazzo apostolico». Io precisai che si trattava dell’appartamento del prefetto  della Casa pontificia, assegnato temporaneamente a me  per ragioni d’ufficio. «Per favore, non ne prenda possesso  ora», aggiunse. Quando lo informai che era normale che  il prefetto risiedesse lì, per poter svolgere bene il suo compito – poiché, anche se al momento vivevo nel Monastero  con il Papa emerito, questa era comunque una residenza  provvisoria –, lui replicò: «Attenda, prima devo parlare con  i miei stretti collaboratori; non faccia nulla finché non riceverà da me una risposta». La cosa mi dispiacque perché  intuii che dietro c’era qualcuno che stava manovrando per  appropriarsi di quell’appartamento.

Il 2 settembre successivo, nella medesima circostanza,  il Pontefice mi disse: «Lei attendeva da me una risposta e  ora le dico di lasciar stare. Quando avrà bisogno di un appartamento ci penserò io». Alla mia espressione di grande  meraviglia, mi spiegò che gli era stato fatto notare che nel  Palazzo apostolico abitavano il segretario di Stato (il cardinale Pietro Parolin) e il sostituto della prima Sezione per  gli Affari generali (all’epoca l’arcivescovo Giovanni Angelo  Becciu), ma non il segretario della seconda Sezione per i  rapporti con gli Stati. Concluse con fermezza: «Ho deciso»;  e infatti, qualche tempo dopo, vidi che in quell’appartamento era appunto andato ad abitare l’arcivescovo Paul  Richard Gallagher.

Nel 2018 però ritenni opportuno ricordare a Papa Francesco la sua promessa, cosicché lui diede disposizioni a  monsignor Vérgez e alla fine mi venne assegnato un appartamento nella vecchia Santa Marta, al confine con l’aula  Paolo VI. L’allontanamento fisico dal Palazzo apostolico  rappresentò comunque il preannuncio degli sviluppi successivi.
A fine gennaio 2020, sempre per restare nel paragone letterario, mi ritrovai infatti a essere un “prefetto dimezzato”,  parafrasando il titolo della famosa opera di Italo Calvino "Il  visconte dimezzato". Dopo quei torridi giorni di polemiche  attorno al libro del cardinale Sarah, lunedì 20 chiesi a Papa  Francesco di potergli parlare e lui mi diede appuntamento  per fine mattinata, al termine delle udienze. Gli fornii nel  dettaglio i particolari su quanto era accaduto e gli chiesi  consiglio su come agire in futuro, poiché non sempre mi era facile riuscire a prevenire problemi come quello che si  era appena verificato. Lui mi guardò con espressione seria  e disse a sorpresa: «D’ora in poi rimanga a casa. Accompagni Benedetto, che ha bisogno di lei, e faccia scudo».
Restai scioccato e senza parole. Quando provai a replicare, dicendogli che lo facevo ormai da sette anni, per cui  potevo continuare ugualmente anche per il futuro, chiuse  seccamente il discorso: «Lei rimane prefetto, ma da domani  non torni al lavoro». In modo dimesso replicai: «Non riesco a capirlo, non lo accetto umanamente, ma mi adeguo  soltanto in obbedienza». E lui di rimando: «Questa è una  bella parola. Io lo so perché la mia esperienza personale è  che “accettare in obbedienza” è una cosa buona». La mia  preoccupazione fu riguardo al modo in cui si sarebbe comunicata la notizia all’esterno, poiché sarebbero certamente  stati sollevati interrogativi sulla mia assenza, ma il Pontefice affermò che non era necessario fare nulla e andò via.
Tornai al Monastero e durante il pranzo lo raccontai alle  Memores e a Benedetto, il quale commentò, tra il serio e il  faceto, in modo ironico: «Sembra che Papa Francesco non  si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode!». Gli ho risposto, sorridendo anch’io: «Proprio così…, ma  dovrei fare il custode o il carceriere?». Poi ho aggiunto  che presumibilmente era un pretesto in correlazione con  la spinosa vicenda Sarah, poiché non era cambiato nulla  da un giorno all’altro.
Come avevo preventivato, dopo alcuni giorni di assenza  pubblica cominciai a ricevere mail e messaggi nei quali mi  veniva domandato che fine avessi fatto, e ovviamente non  risposi a nessuno. Sabato 25 gennaio scrissi un biglietto di  poche righe a Papa Francesco, comunicandogli che stavo ricevendo queste richieste di informazione e suggerendo che  ormai erano passati diversi giorni di sospensione, dunque  potevo eventualmente riprendere il lavoro. Il 1° febbraio mi rispose per iscritto: «Caro fratello, grazie tante per la  sua lettera. Per il momento credo che è meglio mantenere  lo status quo. La ringrazio per tutto quello che fa per Papa  Benedetto: che non gli manchi nulla. Prego per lei, per favore lo faccia per me. Che il Signore la benedica e la Madonna la custodisca. Fraternamente, Francesco».