(Francesco Peloso, Domani) Il caso del gesuita di origine slovena Marko Ivan Rupnik, accusato
di aver commesso abusi sessuali su alcune suore all’inizio degli anni
Novanta, sta mettendo in crisi il Vaticano e la stessa Compagnia di
Gesù. Il sospetto piovuto sui sacri palazzi è di aver trattato
con eccessivi riguardi per il religioso l’intera questione. Rupnik,
infatti, non è un gesuita qualunque; artista e teologo di fama, le sue
opere si trovano sparse nelle chiese di mezzo mondo: i suoi mosaici
decorano la Cappella Redemptoris Mater nel palazzo apostolico in
Vaticano, ma anche la nunziatura apostolica di Parigi, quella di
Damasco, la sede dei Cavalieri di Colombo a New Haven, negli Stati
Uniti, i santuari di Lourdes e Fatima, il santuario di San Giovanni
Paolo II a Cracovia, molte chiese in Spagna e in Italia.
Non
solo: è considerato uno dei massimi studiosi di arte e architettura
sacra, ha insegnato all’università Gregoriana di Roma e al pontificio
ateneo S. Anselmo dove pure, all’inizio del 2023, è previsto che terrà
alcune lezioni.
Padre Rupnik è, inoltre, ben introdotto in
Vaticano: il 3 gennaio del 2022 è stato ricevuto da papa Francesco, il
suo nome figura o figurava anche fra i consultori di vari dicasteri: da
quello per la cultura a quello per la nuova evangelizzazione, dal
dicastero per il clero a quello per il Culto divino.
A lungo,
infine, è stato direttore del Centro Aletti, struttura della Compagnia
di Gesù il cui scopo è quello di far incontrare la cultura e la
tradizione cristiana dell’Europa occidentale con quella orientale. Un
personaggio che conta insomma, una figura rispettata e stimata anche
oltre i confini ecclesiastici. Ma siccome l’abito non fa il monaco, il
ricco curriculum del religioso si è arricchito di recente di un’accusa
di abusi sessuali.
L’accusa di abusi
E’ accaduto che nel 2021 presso il Dicastero per la dottrina della fede,
guidato dal cardinale gesuita Luis Francisco Ladaria, è arrivata una
denuncia contro Rupnik risalente ai primi anni Novanta. I fatti
contestati riguarderebbero abusi psicologici, spirituali e sessuali
commessi ai danni di varie suore della Comunità Loyola di Lubiana,
fondata da una religiosa di cui Rupnik era amico e padre spirituale.
La Comunità è stata successivamente commissariata, e tuttora risulta
esserne commissario monsignor Daniele Libanori, anch'egli gesuita,
vescovo ausiliare della diocesi di Roma.
La Compagnia di Gesù,
da parte sua, dopo che il caso è stato sollevato dai media, ha diffuso
una nota arrivata all’Ansa, nella quale spiega almeno in parte le cose:
un’indagine sulla vicenda è stata in effetti svolta all’interno
dell’Ordine su indicazione del Dicastero per la dottrina della fede che
aveva ricevuto la denuncia nel 2021, i fatti in oggetto sono risultati
però prescritti.
«Dopo aver studiato il risultato di questa
indagine», spiega la nota, durante la quale sono state ascoltate diverse
testimonianze, il Dicastero «ha constatato che i fatti in questione
erano da considerarsi prescritti e ha quindi chiuso il caso, all'inizio
di ottobre di quest'anno 2022».
Quindi si afferma: «Durante
il percorso dell'indagine previa, varie misure cautelari sono state
prese nei confronti del padre Rupnik: proibizione dell'esercizio del
sacramento della confessione, della direzione spirituale e
dell'accompagnamento di esercizi spirituali», misure che, si apprende,
sono ancora in vigore.
«La Compagnia di Gesù – è la
conclusione – prende in seria considerazione ogni denuncia nei riguardi
di uno dei suoi membri. La missione della Compagnia di Gesù è anche una
missione di riconciliazione».
Senza confermare esplicitamente
che gli abusi siano avvenuti, le conseguenze dell’indagine indicano che
evidentemente qualcosa è successo. La nota, inoltre, precisa che non
sono stati convolti minori (come se la violenza su una religiosa fosse
meno grave).
Qualche giorno fa, infine, è intervenuto il
Superiore generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa, per difendere la
Compagnia di Gesù dalle accuse di aver occultato la vicenda; in
un’intervista alle testate portoghesi 7Margens e Rádio Renascença, ha
affermato: «Non dobbiamo rendere pubblico ogni caso. Una delle cose a
cui tutti abbiamo diritto come persone è una certa privacy».
«Non abbiamo nascosto nulla» ha aggiunto. Poi la precisazione: «In
questo caso mi sembra importante sottolineare che non ci sono minori
coinvolti. In altre parole, questi sono problemi tra adulti».
Uno tsunami di ingiustizia
Tuttavia la vicenda ha sollevato le critiche di alcuni autorevoli
confratelli gesuiti di padre Rupnik. Dapprima è intervenuto via Twitter
l'ex Superiore della Provincia euro mediterranea della Compagnia di
Gesù, padre Gianfranco Matarazzo.
«Noi gesuiti - ha scritto -
siamo identificati, con merito e senza merito, con le frontiere della
fede, della giustizia, della carità, del dialogo, dell'attenzione ai
poveri, della ricerca: eppure oggi con il caso Rupnik ci aggrappiamo
alla prescrizione e speriamo che tutto possa fermarsi qui. Il Signore ci
sta chiamando a questo approccio?».
E ancora: «Il "caso Rupnik"
è uno tsunami di ingiustizia, mancanza di trasparenza, gestione
discutibile, attività disfunzionale, personalizzazione, comunità
apostolica sacrificata al leader e disparità di trattamento. E il
comunicato dei gesuiti rilancia questo tsunami. Un caso paradigmatico di
giustizia negata».
Quindi padre Matarazzo ha chiesto di
convocare una conferenza stampa per spiegare ogni cosa e di aprire gli
archivi. E in effetti, il tema della prescrizione del caso Rupnik, è
stato sollevato indirettamente anche dal gesuita Hans Zollern, uno dei
più autorevoli e ascoltati esperti sulla questione degli abusi sessuali
nella Chiesa; Zollner, fra l’altro, è membro della Pontificia
Commissione per la Protezione dei Minori.
Il religioso ha
affermato che la recente dichiarazione della Compagnia di Gesù su padre
Marko Ivan Rupnik «ha sollevato questioni a cui, per quanto vedo, può
essere data risposta solo dal Dicastero per la dottrina della fede».
Insomma, il Vaticano dovrebbe spiegare quali sono stati i risultati
dell’indagine e perché si è deciso per la prescrizione. Zollner ha anche
detto di essere «fermamente convinto che la trasparenza nella Chiesa,
inclusa la Compagnia di Gesù, sia essenziale per combattere la piaga
degli abusi in tutte le sue forme».
Senza trasparenza
Il rischio, evidente, in tutta questa storia, è che senza ulteriori
chiarimenti da parte delle istituzioni ecclesiastiche coinvolte,
prevalga un giudizio di condanna da parte dell’opinione pubblica fondato
più sul comportamento omissivo delle stesse istituzioni che sui fatti.
D’altro canto, se le accuse fossero fondate, la vicenda andrebbe
approfondita e chiarite anche le modalità con le quali il Vaticano e la
Compagnia di Gesù hanno seguito il caso. Di certo da questa storia non
escono bene i gesuiti, alcuni dei quali sono fra i più stretti
collaboratori di Papa Francesco.
D’altro canto, non può essere
dimenticato che quando il cardinale George Pell alcuni anni fa, mentre
ricopriva l’incarico di prefetto della Segreteria per l’Economia, fu
chiamato in causa per rispondere davanti a un tribunale civile
australiano dell’accusa di aver abusato di due minori negli anni
Novanta, lasciò il proprio incarico in Vaticano e affrontò il processo e
la prigione prima di essere prosciolto nel terzo grado di giudizio
dall’Alta Corte australiana perché esisteva un ragionevole dubbio che il
reato non fosse stato commesso.
E certo la sentenza di una
corte australiana per gravità e conseguenze personali, non può essere
paragonata a quella del Dicastero per la dottrina della fede.
Ma
il caso Rupnik ha messo in luce, fino ad ora, anche una visibile
incertezza dello stesso Papa a intervenire per fare chiarezza.
Non è possibile sapere quali elementi abbia in mano il vescovo di Roma,
ma certo se il tema della trasparenza è uno dei cardini del pontificato,
non c’è dubbio che in questo caso il nodo non sia stato sciolto. Resta
invece intatta la realtà di uno scandalo abusi che continua a pesare
come un macigno sulla vita della Chiesa.