** Ci sono due guerre, destinate a impattare sul prossimo conclave. La prima è la guerra civile sotterranea in corso nella Chiesa cattolica a partire dai Sinodi sulla Famiglia. (...) La seconda guerra, che impatterà, è quella ucraina.
** Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a tre pontefici di intensa personalità con temperamenti, visioni teologiche, presa sui fedeli e capacità di interlocuzione con la società e gli altri mondi religiosi assai differenti. Ma con nessuno di loro si è arrestata la crisi delle strutture teologiche, di prassi e di organizzazione del cattolicesimo.
** Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a tre pontefici di intensa personalità con temperamenti, visioni teologiche, presa sui fedeli e capacità di interlocuzione con la società e gli altri mondi religiosi assai differenti. Ma con nessuno di loro si è arrestata la crisi delle strutture teologiche, di prassi e di organizzazione del cattolicesimo.
(a cura di L.B. e R.C. - "Il sismografo") La Prima parte di questa intervista al noto vaticanista Marco Politi [*] è stata pubblicata ieri giovedì 22 settembre alle ore 09.50. [Papa Francesco e la guerra russa contro l'Ucraina. Nell'analisi del vaticanista Marco Politi i percorsi politici, diplomatici ed ecclesiali della Santa Sede].
5 - Se si presentano le condizioni per un cessate il fuoco e/o una tregua, a tuo avviso Putin potrebbe negoziare con il Presidente ucraino o vuole trattare direttamente con Washington?
Tutti sanno che le chiavi del conflitto sono nelle mani di Washington. Nel momento in cui il premier Draghi ha spiegato a Kyiv (dove si era recato con Scholz e Macron per offrire a Zelensky il sostegno alla candidatura dell’Ucraina all’Unione europea) che “è l’Ucraina a dover scegliere la pace che vuole, quella che ritiene accettabile per il suo popolo”, è stato chiaro che Italia, Germania e Francia avevano scelto di non lavorare per un ruolo autonomo europeo in vista di una soluzione.
Putin aspetta un segnale preciso da Washington, molto dipenderà naturalmente anche dal peso di eventuali mediatori.
6 - Abbiamo già ricordato che il Santo Padre da qualche tempo parla di una "terza guerra mondiale" o “guerra totale”, in corso. La totalità dei governanti dell’Occidente, compresa la Cina, non ha raccolto queste parole già usate mesi fa da uomini della nomenklatura di Putin. A tuo avviso cosa vuol enfatizzare Francesco usando queste espressioni?
Non si tratta di una parola o di un’altra, ma del fatto che dal 1945 a oggi non c’è stato nessun conflitto che abbia investito come questo la totalità dei rapporti economici, politici e finanziari del pianeta. Pensiamo alla disconnessione della Russia dal sistema bancario Swift e a come coinvolge immediatamente tutti coloro che nei paesi più vari fanno affari con la Russia e hanno bisogno per il loro sviluppo o il loro benessere a vendere o comprare nel mercato russo. Pensiamo alle somme enormi delle riserve russe, congelate nelle banche occidentali. Pensiamo all’impatto delle sanzioni e alle vie tortuose che molte imprese e stati devono imboccare per non rimare improvvisamente in una situazione di stallo o di arretramento, visto l’interrompersi dei rapporti economici con la Russia.
Pensiamo ai traffici interrotti, alle comunicazioni interrotte, ai progetti comuni interrotti, agli scambi scientifici interrotti. Pensiamo agli effetti immediati dell’interruzione dei rapporti riguardanti la fornitura di gas e l’impatto che ne deriva su imprese e industrie in varie parti del mondo. Pensiamo all’allarme suscitato dal fatto che possano interrompersi o diminuire sensibilmente le forniture di grano e di fertilizzanti dall’Ucraina e dalla Russia. Pensiamo agli effetti che una rivolta del pane in un paese del sud del mondo può avere sulle ondate migratorie.
Niente di tutto ciò è successo all’epoca delle guerre in (Corea, Vietnam, ex Jugoslavia, Afghanistan o Iraq.
Il segretario generale dell’Onu Guterres parla di “tempesta perfetta” e del profilarsi di un inverno di malcontento globale. La decisione di Putin di dichiarare lo stato di mobilitazione parziale, richiamando alle armi 300.000 uomini e minacciando di usare “tutti i mezzi a nostra disposizione” per assicurare la difesa dell’integrità territoriale della patria russa, porta il conflitto in quella zona grigia in cui nessun protagonista sa più cosa farà l’altro e lui stesso.
Guerra Totale – definizione di Bergoglio – mi sembra una parola aderente alla realtà.
Non è un caso che il giorno del drammatico discorso televisivo di Putin, in contemporanea con la sessione dell’assemblea generale dell’Onu, l’ “Avvenire” abbia pubblicato un piano di pace in 7 punti del presidente dell’Accademia pontificia di scienze sociali, Stefano Zamagni. Prevede neutralità di una Ucraina libera e sovrana, autonomia linguistica, culturale e politica del Donbass russofono all’interno dello stato ucraino, congelamento della situazione in Crimea in vista di negoziati diretti fra le due parti, rimozione graduale delle sanzioni occidentali in parallelo al ritiro delle truppe russe, partecipazione della Russia ad un fondo per la ricostruzione dell’Ucraina.
Inutile dire che ora si combatte e poi verrà la pace, se non si parte da un cessate il fuoco e un tavolo concreto di trattativa. Il Vaticano spinge in questa direzione. Tanto più quanto incombe lo spettro di un incidente nucleare. L’incontro all’Onu tra il cardinale Parolin e il ministro degli esteri russo Lavrov va in questa direzione. Ed è significativo che ora scenda in campo anche la Cina, chiedendo un cessate il fuoco.
Certamente è importante che il presidente statunitense Biden stia mantenendo i nervi saldi, dichiarando alle Nazioni Unite che una guerra nucleare “non può essere vinta e non dovrebbe mai essere combattuta”.
L’inverno 2022-23 – per parlare dell’Europa – si profila estremamente duro. Inflazione e recessione, chiusura di imprese e rischio di un’impennata di disoccupazione, crisi alimentare, crisi energetica, crisi migratoria andranno messi nel conto dei costi e benefici di una guerra totale prolungata.
Se la questione prende la piega di una guerra santa, impregnata di ideologia, non se ne esce. “Giungo nel corso della folle e tragica guerra originata dall’invasione dell’Ucraina, mentre altri scontri e minacce di conflitti mettono a repentaglio i nostri tempi”, ha esclamato Francesco a Nur-Sultan rivolgendosi al presidente Tokayev e alle autorità kazake: “Vengo per amplificare il grido di tanti che implorano la pace, via di sviluppo essenziale per il nostro mondo globalizzato”.
Nessuno crede più che la I Guerra mondiale sia scoppiata per gli spari di Sarajevo o per l’ultimatum dell’impero di Austria-Ungheria alla Serbia: quando Benedetto XV chiedeva di interrompere l’ “inutile strage”, toccava il punto cruciale.
Francesco è in sintonia con quanti chiedono disperatamente – siano stati o popolazioni o gruppi di interesse sociale – una nuova stagione di stabilità e convivenza mondiale. Forse questa stagione non ci sarà a breve termine, ma il papa argentino coglie comunque il senso dei bisogni di vaste masse.
Essere profetici non significa azzeccare una previsione come fossero i numeri del lotto ma – sostiene l’arcivescovo Rino Fisichella, uomo di Curia – significa piuttosto “cogliere i segni dei tempi”.
Quando Giovanni Paolo II mandò i cardinali Pio Laghi a Washington e Roger Etchegaray a Baghdad per esortare a trovare in extremis un accordo per fermare la guerra, un alto ufficiale americano, accompagnando Laghi alla macchina dopo il colloquio con il presidente Bush junior, gli disse aprendo la portiera: “Non si preoccupi, Eminenza, in poche settimane tutto sarà finito”.
Non fu così. Wojtyla, di cui all’inizio alcuni avevano preso sottogamba l’opposizione alla guerra, aveva visto giusto.
7 - Secondo te un prossimo futuro conclave, e le sue scelte, saranno condizionati dalla realtà internazionale, dal cosiddetto nuovo ordine mondiale che da più parti si tenta di costruire dopo la guerra in corso? E’ vero che “i Papi si fanno in conclave” (come diceva il cardinale Siri) ma è anche vero che i cardinali elettori sono persone che oltre alla Chiesa pensano al mondo dove questa chiesa vive e cammina. Tra l’altro il mondo ha bisogno di una Chiesa in grado di offrire risposte per la coerenza tra fede e vita.
Ci sono due guerre, destinate a impattare sul prossimo conclave. La prima è la guerra civile sotterranea in corso nella Chiesa cattolica a partire dai Sinodi sulla Famiglia. C’è un nucleo duro delle gerarchie, del clero, del laicato impegnato cattolico che non ha condiviso e non condivide le aperture di papa Bergoglio sulla morale sessuale, le sue caute aperture all’eventualità di un diaconato femminile, il suo appoggio iniziale al sinodo dell’Amazzonia che si è concluso con la richiesta di un clero sposato in situazioni emergenziali, la sua riforma della Curia destinata a portare ai vertici di alcuni dicasteri esponenti laici e in particolar modo donne, la sua totale equiparazione tra credenti eterosessuali ed omosessuali.
Questo blocco, attaccato all’idea di un rigorismo dottrinale e di un centralismo romano quali segni caratteristici della Chiesa cattolica, raggruppa forse un trenta per cento del mondo cattolico e si farà sentire al conclave. Una parte di loro sanno però che l’impatto di Francesco sull’opinione pubblica mondiale, su credenti e non credenti e seguaci di altre religioni è stato molto forte. Perciò non è possibile proporre una candidatura che abbia il sapore di un netto passo all’indietro.
L’esperienza di Benedetto XVI è un monito. Ratzinger, personalità di grande rilievo intellettuale e teologico, peraltro non portata all’arte di governare, è finito in un vicolo cieco proprio perché è stata avvertito come portatore di un preciso tentativo di “raddrizzare” la Chiesa postconciliare. L’esperimento è fallito in un mare di polemiche.
Dunque, come sempre in un conclave, le varie correnti dovranno trovare un compromesso: conservatori, poi i “centristi”-moderati-impauriti, infine i riformatori.
La seconda guerra, che impatterà, è quella ucraina. Il suo esito modellerà la situazione politica, economica ma anche psicologica del mondo. Vi sarà un esito multipolare di convivenza? Una nuova, aspra guerra fredda con l’Occidente schierato contro il blocco Cina-Russia?
La possibile figura di un pontefice non si può immaginare slegata dalle vicende mondiali. Il ritorno ad un europeo (il tessitore Parolin, Segretario di Stato, o il cardinale ungherese Erdo già presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee o il cardinal vicario di Roma De Donatis, carattere spirituale)? Una personalità di impronta bergogliana come il cardinale filippino Tagle (con sangue cinese per parte di madre), chiamato a Roma per dirigere la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli? Un africano?
Non ha molto senso giocare con i nomi. Resta il fatto che nell’attuale società mediatica mondiale un pontefice deve essere capace di essere percepito come interlocutore credibile, oltre le frontiere.
8 - E' possibile tracciare un profilo della Chiesa del prossimo Papa? Due o tre questioni centrali a tuo avviso. Forse quella delle riforme – e se ne parla dai tempi di Giovanni XXIII ad oggi – non è più sufficiente. Non è la riforma della Curia o altro simile ciò che sta a cuore al “fedele e santo Popolo di Dio”, come dice spesso Papa Francesco. Un prossimo conclave affronterà una tale sfida o – come sembra da quanto si legge oggi – sarà una questione di cordate, gruppi di pressione laico-clericali, mediatici e via dicendo?
Il concistoro straordinario di fine agosto è stata un’occasione mancata. Il collegio cardinalizio, ormai composto in maggioranza da personalità nominate da Francesco e contrassegnato da un’ulteriore incisiva internazionalizzazione, avrebbe potuto – proprio in un momento epocale come l’attuale – dedicarsi ad un dibattito molto immediato e sincero sulla Chiesa cattolica nella società globale odierna.
Sarebbe stato anche un modo per i cardinali provenienti dai più lontani angoli del mondo di conoscersi l’un l’altro, di valutare opinioni segnate da contesti sociali diversi, di tastare il polso almeno in prima battuta sulle visioni teologiche e religiose dei confratelli. Invece il dibattito è stato ingabbiato nei gruppi linguistici e la riunione dedicata anche ad altri temi.
Ci sono voci, che dicono che il pontefice abbia timore di qualche manovra critica predisposta da un’opposizione organizzata. Non lo so. Francesco continua a godere di un tale consenso sulla scena pubblica da avere le spalle più che larghe.
In ogni caso un dibattito largo e vivace in seno al corpo cardinalizio non può che favorire quel progetto di mini-concilio che il Papa ha lanciato con il Sinodo sulla Chiesa sinodale, che si concluderà fine 2023 su temi fondamentali: Comunione, Partecipazione, Missione.
In mancanza di occasioni di incontro e dibattito tra tutto il corpo cardinalizio è inevitabile che in occasione di un conclave i porporati – diciamo così – più periferici e meno informati cerchino “referenti” romani per guida e consiglio. Le cordate si ingrossano anche così.
La questione fondamentale, tuttavia, è un’altra. Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a tre pontefici di intensa personalità con temperamenti, visioni teologiche, presa sui fedeli e capacità di interlocuzione con la società e gli altri mondi religiosi assai differenti. Ma con nessuno di loro si è arrestata la crisi delle strutture teologiche, di prassi e di organizzazione del cattolicesimo.
Giovanni Paolo II e Francesco, in particolare, sono stati in grado di testimoniare spesso una parola valida per la società contemporanea, dando visibilità alla molteplicità di un cattolicesimo presente in tante dimensioni del mondo, eppure la crisi è andata avanti. Che si menta sugli abusi o si caccino cardinali e vescovi abusatori, che si apra la strada alle donne in ruoli dirigenti o si sbarri loro la strada con interpretazioni passatiste dei Vangeli, che si amministri bene o male il denaro vaticano, che si dia o si neghi la comunione ai divorziati risposati…la crisi è andata inesorabilmente avanti.
La Chiesa cattolica (in realtà tutte le Chiese cristiane tradizionali) da un lato mantiene per certi aspetti una presenza significativa nella società, dall’altro si “svuota”. E’ arrivata una stagione in cui i presenti a un matrimonio o un funerale non hanno più idea di cosa si svolga nel corso di una messa. Non si tratta di modernizzare o riformare, è il nucleo stesso del pasto eucaristico che sfugge ad una massa crescente di nuove generazioni. Parole, gesti, simboli stanno diventando estranei a chi dovrebbe fondare su di loro la propria vita, non in modo perfetto naturalmente, ma in modo consapevole.
In Italia, tra i giovani i non credenti o gli indifferenti aumentano in continuazione: oscillano, superando il 30 percento, e possono arrivare oltre il 40 a seconda dei sondaggi. Il dato reale è che sono una massa enorme a cui il mistero sull’altare non dice più niente.
In questa situazione i cardinali elettori dovranno in qualche modo reinventare il profilo del futuro papa. Però va detto che una singola persona non potrà dare una svolta alla Chiesa se non ci sarà contemporaneamente una spinta reale di rigenerazione religiosa dal basso.
5 - Se si presentano le condizioni per un cessate il fuoco e/o una tregua, a tuo avviso Putin potrebbe negoziare con il Presidente ucraino o vuole trattare direttamente con Washington?
Tutti sanno che le chiavi del conflitto sono nelle mani di Washington. Nel momento in cui il premier Draghi ha spiegato a Kyiv (dove si era recato con Scholz e Macron per offrire a Zelensky il sostegno alla candidatura dell’Ucraina all’Unione europea) che “è l’Ucraina a dover scegliere la pace che vuole, quella che ritiene accettabile per il suo popolo”, è stato chiaro che Italia, Germania e Francia avevano scelto di non lavorare per un ruolo autonomo europeo in vista di una soluzione.
Putin aspetta un segnale preciso da Washington, molto dipenderà naturalmente anche dal peso di eventuali mediatori.
6 - Abbiamo già ricordato che il Santo Padre da qualche tempo parla di una "terza guerra mondiale" o “guerra totale”, in corso. La totalità dei governanti dell’Occidente, compresa la Cina, non ha raccolto queste parole già usate mesi fa da uomini della nomenklatura di Putin. A tuo avviso cosa vuol enfatizzare Francesco usando queste espressioni?
Non si tratta di una parola o di un’altra, ma del fatto che dal 1945 a oggi non c’è stato nessun conflitto che abbia investito come questo la totalità dei rapporti economici, politici e finanziari del pianeta. Pensiamo alla disconnessione della Russia dal sistema bancario Swift e a come coinvolge immediatamente tutti coloro che nei paesi più vari fanno affari con la Russia e hanno bisogno per il loro sviluppo o il loro benessere a vendere o comprare nel mercato russo. Pensiamo alle somme enormi delle riserve russe, congelate nelle banche occidentali. Pensiamo all’impatto delle sanzioni e alle vie tortuose che molte imprese e stati devono imboccare per non rimare improvvisamente in una situazione di stallo o di arretramento, visto l’interrompersi dei rapporti economici con la Russia.
Pensiamo ai traffici interrotti, alle comunicazioni interrotte, ai progetti comuni interrotti, agli scambi scientifici interrotti. Pensiamo agli effetti immediati dell’interruzione dei rapporti riguardanti la fornitura di gas e l’impatto che ne deriva su imprese e industrie in varie parti del mondo. Pensiamo all’allarme suscitato dal fatto che possano interrompersi o diminuire sensibilmente le forniture di grano e di fertilizzanti dall’Ucraina e dalla Russia. Pensiamo agli effetti che una rivolta del pane in un paese del sud del mondo può avere sulle ondate migratorie.
Niente di tutto ciò è successo all’epoca delle guerre in (Corea, Vietnam, ex Jugoslavia, Afghanistan o Iraq.
Il segretario generale dell’Onu Guterres parla di “tempesta perfetta” e del profilarsi di un inverno di malcontento globale. La decisione di Putin di dichiarare lo stato di mobilitazione parziale, richiamando alle armi 300.000 uomini e minacciando di usare “tutti i mezzi a nostra disposizione” per assicurare la difesa dell’integrità territoriale della patria russa, porta il conflitto in quella zona grigia in cui nessun protagonista sa più cosa farà l’altro e lui stesso.
Guerra Totale – definizione di Bergoglio – mi sembra una parola aderente alla realtà.
Non è un caso che il giorno del drammatico discorso televisivo di Putin, in contemporanea con la sessione dell’assemblea generale dell’Onu, l’ “Avvenire” abbia pubblicato un piano di pace in 7 punti del presidente dell’Accademia pontificia di scienze sociali, Stefano Zamagni. Prevede neutralità di una Ucraina libera e sovrana, autonomia linguistica, culturale e politica del Donbass russofono all’interno dello stato ucraino, congelamento della situazione in Crimea in vista di negoziati diretti fra le due parti, rimozione graduale delle sanzioni occidentali in parallelo al ritiro delle truppe russe, partecipazione della Russia ad un fondo per la ricostruzione dell’Ucraina.
Inutile dire che ora si combatte e poi verrà la pace, se non si parte da un cessate il fuoco e un tavolo concreto di trattativa. Il Vaticano spinge in questa direzione. Tanto più quanto incombe lo spettro di un incidente nucleare. L’incontro all’Onu tra il cardinale Parolin e il ministro degli esteri russo Lavrov va in questa direzione. Ed è significativo che ora scenda in campo anche la Cina, chiedendo un cessate il fuoco.
Certamente è importante che il presidente statunitense Biden stia mantenendo i nervi saldi, dichiarando alle Nazioni Unite che una guerra nucleare “non può essere vinta e non dovrebbe mai essere combattuta”.
L’inverno 2022-23 – per parlare dell’Europa – si profila estremamente duro. Inflazione e recessione, chiusura di imprese e rischio di un’impennata di disoccupazione, crisi alimentare, crisi energetica, crisi migratoria andranno messi nel conto dei costi e benefici di una guerra totale prolungata.
Se la questione prende la piega di una guerra santa, impregnata di ideologia, non se ne esce. “Giungo nel corso della folle e tragica guerra originata dall’invasione dell’Ucraina, mentre altri scontri e minacce di conflitti mettono a repentaglio i nostri tempi”, ha esclamato Francesco a Nur-Sultan rivolgendosi al presidente Tokayev e alle autorità kazake: “Vengo per amplificare il grido di tanti che implorano la pace, via di sviluppo essenziale per il nostro mondo globalizzato”.
Nessuno crede più che la I Guerra mondiale sia scoppiata per gli spari di Sarajevo o per l’ultimatum dell’impero di Austria-Ungheria alla Serbia: quando Benedetto XV chiedeva di interrompere l’ “inutile strage”, toccava il punto cruciale.
Francesco è in sintonia con quanti chiedono disperatamente – siano stati o popolazioni o gruppi di interesse sociale – una nuova stagione di stabilità e convivenza mondiale. Forse questa stagione non ci sarà a breve termine, ma il papa argentino coglie comunque il senso dei bisogni di vaste masse.
Essere profetici non significa azzeccare una previsione come fossero i numeri del lotto ma – sostiene l’arcivescovo Rino Fisichella, uomo di Curia – significa piuttosto “cogliere i segni dei tempi”.
Quando Giovanni Paolo II mandò i cardinali Pio Laghi a Washington e Roger Etchegaray a Baghdad per esortare a trovare in extremis un accordo per fermare la guerra, un alto ufficiale americano, accompagnando Laghi alla macchina dopo il colloquio con il presidente Bush junior, gli disse aprendo la portiera: “Non si preoccupi, Eminenza, in poche settimane tutto sarà finito”.
Non fu così. Wojtyla, di cui all’inizio alcuni avevano preso sottogamba l’opposizione alla guerra, aveva visto giusto.
7 - Secondo te un prossimo futuro conclave, e le sue scelte, saranno condizionati dalla realtà internazionale, dal cosiddetto nuovo ordine mondiale che da più parti si tenta di costruire dopo la guerra in corso? E’ vero che “i Papi si fanno in conclave” (come diceva il cardinale Siri) ma è anche vero che i cardinali elettori sono persone che oltre alla Chiesa pensano al mondo dove questa chiesa vive e cammina. Tra l’altro il mondo ha bisogno di una Chiesa in grado di offrire risposte per la coerenza tra fede e vita.
Ci sono due guerre, destinate a impattare sul prossimo conclave. La prima è la guerra civile sotterranea in corso nella Chiesa cattolica a partire dai Sinodi sulla Famiglia. C’è un nucleo duro delle gerarchie, del clero, del laicato impegnato cattolico che non ha condiviso e non condivide le aperture di papa Bergoglio sulla morale sessuale, le sue caute aperture all’eventualità di un diaconato femminile, il suo appoggio iniziale al sinodo dell’Amazzonia che si è concluso con la richiesta di un clero sposato in situazioni emergenziali, la sua riforma della Curia destinata a portare ai vertici di alcuni dicasteri esponenti laici e in particolar modo donne, la sua totale equiparazione tra credenti eterosessuali ed omosessuali.
Questo blocco, attaccato all’idea di un rigorismo dottrinale e di un centralismo romano quali segni caratteristici della Chiesa cattolica, raggruppa forse un trenta per cento del mondo cattolico e si farà sentire al conclave. Una parte di loro sanno però che l’impatto di Francesco sull’opinione pubblica mondiale, su credenti e non credenti e seguaci di altre religioni è stato molto forte. Perciò non è possibile proporre una candidatura che abbia il sapore di un netto passo all’indietro.
L’esperienza di Benedetto XVI è un monito. Ratzinger, personalità di grande rilievo intellettuale e teologico, peraltro non portata all’arte di governare, è finito in un vicolo cieco proprio perché è stata avvertito come portatore di un preciso tentativo di “raddrizzare” la Chiesa postconciliare. L’esperimento è fallito in un mare di polemiche.
Dunque, come sempre in un conclave, le varie correnti dovranno trovare un compromesso: conservatori, poi i “centristi”-moderati-impauriti, infine i riformatori.
La seconda guerra, che impatterà, è quella ucraina. Il suo esito modellerà la situazione politica, economica ma anche psicologica del mondo. Vi sarà un esito multipolare di convivenza? Una nuova, aspra guerra fredda con l’Occidente schierato contro il blocco Cina-Russia?
La possibile figura di un pontefice non si può immaginare slegata dalle vicende mondiali. Il ritorno ad un europeo (il tessitore Parolin, Segretario di Stato, o il cardinale ungherese Erdo già presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee o il cardinal vicario di Roma De Donatis, carattere spirituale)? Una personalità di impronta bergogliana come il cardinale filippino Tagle (con sangue cinese per parte di madre), chiamato a Roma per dirigere la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli? Un africano?
Non ha molto senso giocare con i nomi. Resta il fatto che nell’attuale società mediatica mondiale un pontefice deve essere capace di essere percepito come interlocutore credibile, oltre le frontiere.
8 - E' possibile tracciare un profilo della Chiesa del prossimo Papa? Due o tre questioni centrali a tuo avviso. Forse quella delle riforme – e se ne parla dai tempi di Giovanni XXIII ad oggi – non è più sufficiente. Non è la riforma della Curia o altro simile ciò che sta a cuore al “fedele e santo Popolo di Dio”, come dice spesso Papa Francesco. Un prossimo conclave affronterà una tale sfida o – come sembra da quanto si legge oggi – sarà una questione di cordate, gruppi di pressione laico-clericali, mediatici e via dicendo?
Il concistoro straordinario di fine agosto è stata un’occasione mancata. Il collegio cardinalizio, ormai composto in maggioranza da personalità nominate da Francesco e contrassegnato da un’ulteriore incisiva internazionalizzazione, avrebbe potuto – proprio in un momento epocale come l’attuale – dedicarsi ad un dibattito molto immediato e sincero sulla Chiesa cattolica nella società globale odierna.
Sarebbe stato anche un modo per i cardinali provenienti dai più lontani angoli del mondo di conoscersi l’un l’altro, di valutare opinioni segnate da contesti sociali diversi, di tastare il polso almeno in prima battuta sulle visioni teologiche e religiose dei confratelli. Invece il dibattito è stato ingabbiato nei gruppi linguistici e la riunione dedicata anche ad altri temi.
Ci sono voci, che dicono che il pontefice abbia timore di qualche manovra critica predisposta da un’opposizione organizzata. Non lo so. Francesco continua a godere di un tale consenso sulla scena pubblica da avere le spalle più che larghe.
In ogni caso un dibattito largo e vivace in seno al corpo cardinalizio non può che favorire quel progetto di mini-concilio che il Papa ha lanciato con il Sinodo sulla Chiesa sinodale, che si concluderà fine 2023 su temi fondamentali: Comunione, Partecipazione, Missione.
In mancanza di occasioni di incontro e dibattito tra tutto il corpo cardinalizio è inevitabile che in occasione di un conclave i porporati – diciamo così – più periferici e meno informati cerchino “referenti” romani per guida e consiglio. Le cordate si ingrossano anche così.
La questione fondamentale, tuttavia, è un’altra. Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a tre pontefici di intensa personalità con temperamenti, visioni teologiche, presa sui fedeli e capacità di interlocuzione con la società e gli altri mondi religiosi assai differenti. Ma con nessuno di loro si è arrestata la crisi delle strutture teologiche, di prassi e di organizzazione del cattolicesimo.
Giovanni Paolo II e Francesco, in particolare, sono stati in grado di testimoniare spesso una parola valida per la società contemporanea, dando visibilità alla molteplicità di un cattolicesimo presente in tante dimensioni del mondo, eppure la crisi è andata avanti. Che si menta sugli abusi o si caccino cardinali e vescovi abusatori, che si apra la strada alle donne in ruoli dirigenti o si sbarri loro la strada con interpretazioni passatiste dei Vangeli, che si amministri bene o male il denaro vaticano, che si dia o si neghi la comunione ai divorziati risposati…la crisi è andata inesorabilmente avanti.
La Chiesa cattolica (in realtà tutte le Chiese cristiane tradizionali) da un lato mantiene per certi aspetti una presenza significativa nella società, dall’altro si “svuota”. E’ arrivata una stagione in cui i presenti a un matrimonio o un funerale non hanno più idea di cosa si svolga nel corso di una messa. Non si tratta di modernizzare o riformare, è il nucleo stesso del pasto eucaristico che sfugge ad una massa crescente di nuove generazioni. Parole, gesti, simboli stanno diventando estranei a chi dovrebbe fondare su di loro la propria vita, non in modo perfetto naturalmente, ma in modo consapevole.
In Italia, tra i giovani i non credenti o gli indifferenti aumentano in continuazione: oscillano, superando il 30 percento, e possono arrivare oltre il 40 a seconda dei sondaggi. Il dato reale è che sono una massa enorme a cui il mistero sull’altare non dice più niente.
In questa situazione i cardinali elettori dovranno in qualche modo reinventare il profilo del futuro papa. Però va detto che una singola persona non potrà dare una svolta alla Chiesa se non ci sarà contemporaneamente una spinta reale di rigenerazione religiosa dal basso.
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[*] Marco Politi, noto scrittore e giornalista italiano nato a Roma il 29 gennaio 1947. E' stato corrispondente a Mosca per Il Messaggero dal 1987 al 1993, periodo storico in cui si racchiude la crisi e dissoluzione dell'URSS e la nascita della Federazione Russa. Al tempo stesso, dal 1971 sino ad oggi, Politi si è anche occupato di questioni vaticane e religiose. Infatti, tra il 1993 e il 2003 è stato il vaticanista de La Repubblica. Nella sua carriera professionale Marco Politi ha lavorato anche per Il Messaggero e attualmente collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate internazionali. In sostanza, per più di 40 anni, Politi, autore di oltre 10 libri incentrati sulla figura e il magistero degli ultimi tre Papi, è un vaticanista da annoverare nella definizione 'storici'. Ha una notevole conoscenza del potere e della società, prima dell'URSS e poi della Russia. Ha seguito e scritto sugli ultimi sei Presidenti sovietici (da Vasilij Kuznecov a Michail Gorbačëv) e sui due della Federazione Russa: Eltsin e Putin. Sono queste le esperienze e conoscenze che fanno di Marco Politi un vero testimone di questo ultimo mezzo secolo nonché testimoni del complesso rapporto tra Mosca e il Vaticano dalla caduta del Muro di Berlino in poi. Questo percorso rofessionale fa dfi Marco Politi uno studioso singolare, forse unico.