domenica 24 luglio 2022

Stati Uniti
Aborto davvero pro-life? L’abrogazione di Roe v. Wade da parte della Corte suprema


(Il Regno)
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(Il Regno - Massimo Faggioli) Il sogno del movimento pro-life, lungo quasi 50 anni, si è avverato. Il 24 giugno 2022, con la pubblicazione della decisione Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization sul divieto di aborto dopo 15 settimane in Mississippi, la Corte suprema federale degli Stati Uniti ha effettivamente abrogato il diritto all’aborto negli USA, così come era stato istituito dalla sentenza Roe v. Wade del 1973 e modificato dalla sentenza Planned Parenthood v. Casey del 1992. È una data storica per gli Stati Uniti e in modo particolare per la Chiesa cattolica.
Dobbs era una sentenza attesa, specialmente dopo che la bozza delle motivazioni stilate dal giudice Samuel Alito era stata fatta filtrare alla stampa e pubblicata il 2 maggio da Politico. L’eccezionalità di questa sentenza risiede non solo nel tema, il più divisivo nella politica americana negli ultimi 50 anni, ma anche perché costituisce un raro caso di completo rovesciamento di un precedente – quello di Roe v. Wade –, che anche i tre giudici nominati da Donald Trump alla Corte suprema (Samuel Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett), avevano affermato nelle audizioni al Congresso di considerare intoccabile.
Ci si attendeva da questa Corte una abrogazione del diritto all’aborto, ma non in questo modo. La maggioranza dei giudici dietro a questa sentenza, 6-3, riflette i rapporti di forza attuali all’interno della Corte tra i partiti, repubblicano e democratico, dei presidenti che li hanno nominati.
Ma in realtà si potrebbe leggere anche come una sentenza 5-4. Infatti il chief justice della Corte, John Roberts, nelle sue motivazioni d’appoggio alla maggioranza ha preso le distanze dalle decisioni dei 5 colleghi conservatori, per esempio quando afferma che la sentenza avrebbe potuto limitarsi a modificare Roe v. Wade, mettendo limiti al diritto all’aborto dal momento in cui il feto può sopravvivere al di fuori dell’utero.
Invece i 5 giudici (tutti cattolici e di formazione cattolica, come peraltro anche Roberts) hanno scelto in maggioranza di restituire ai singoli stati la possibilità di legiferare sull’aborto, negando che motivazioni di eguaglianza costituzionale impongano alla legislazione federale competenza sulla questione. Il dissenso contro la sentenza, formulato con un linguaggio molto duro, è venuto dai tre giudici della minoranza liberal, nominati da presidenti democratici (Elena Kagan, Stephen Breyer e Sonia Sotomayor).
All’interno del fronte conservatore, Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization sancisce la sconfitta dei tentativi del cattolico moderato Roberts di impedire l’estremismo degli altri 5 giudici nominati da presidenti repubblicani.
Questa sentenza è stata condannata da tutte le maggiori associazioni di medici e sanitari, e anche dal mondo del business, in un sistema come quello americano in cui l’assistenza sanitaria tramite assicurazioni private fa parte dei contratti di lavoro (mentre spesso ai lavoratori a basso reddito manca un’assistenza sanitaria efficace e tempestiva). Grandi aziende come Amazon, Apple, Disney e Netflix hanno ampliato i benefit per includere le spese per i dipendenti e le loro famiglie che avessero bisogno di viaggiare per accedere a una serie di procedure mediche, compresi aborto, pianificazione familiare e salute riproduttiva.
Disparità tra cittadini
La sentenza crea una situazione di grandi disparità tra cittadini americani, con alcuni stati controllati dal Partito repubblicano (specialmente nel Sud e nel Midwest) che hanno già fatto scattare leggi che rendono un crimine il ricorso all’aborto (Kentucky, Louisiana, Arkansas, South Dakota, Missouri, Oklahoma, Alabama) e altri stati che lo faranno a breve (Mississippi, North Dakota, Wyoming, Utah, Idaho, Tennessee, Texas). Salvo interventi in extremis delle corti, in molti di questi stati l’aborto diventa illegale. Sono previste dalle leggi dei singoli stati eccezioni per proteggere la vita della donna, ma rimane aperta la questione se la Costituzione richieda eccezioni al divieto di aborto per proteggere la vita o la salute della madre, per le vittime di stupro o incesto o per disabilità fetale.
La sentenza della maggioranza ha osservato che la legge del Mississippi prevede eccezioni per particolari patologie o emergenze e anomalie fetali, ma non ha affermato che tali eccezioni sono necessarie. Su questo la sentenza della Corte avrebbe potuto imporre agli stati delle eccezioni, ma ha scelto di non farlo.
Gli stati con governatori e parlamenti con maggioranze del Partito democratico diventano «santuari» per il diritto all’aborto per le donne che vengono da stati dove è diventato illegale. California e Connecticut sottoporranno al voto la proposta d’inserire nelle loro Costituzioni il diritto all’aborto. È prevista una serie di conseguenze immediate a livello nazionale, come ricorsi alle corti contro leggi che intenderanno aiutare donne a viaggiare in altri stati dove è ancora legale, e un aumento del ricorso all’aborto farmacologico.
La riluttanza di alcuni procuratori distrettuali (la maggior parte dei quali sono eletti a suffragio universale diretto) a intentare cause penali contro chi pratica l’aborto sta già complicando il panorama legale in alcuni stati. A livello nazionale, l’abrogazione di Roe v. Wade potrebbe far presagire un attacco nel prossimo futuro ad altre sentenze costituzionali di grande rilievo. Non è una ipotesi complottista: si trova nell’opinione scritta dal giudice Clarence Thomas, che ha auspicato che la Corte riesamini i precedenti delle sentenze Griswold (sulla legalità della contraccezione, 1965), Lawrence (sui rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, 2003), e Obergefell (a favore del matrimonio omosessuale a livello federale, 2015).
Roe v. Wade aveva disposto che non vi fossero restrizioni all’accesso all’aborto nel primo trimestre di gravidanza e fino alla vitalità del feto; nel secondo trimestre, imponeva limiti finalizzati a proteggere la salute della donna; per il terzo trimestre consentiva agli stati di vietare l’aborto a condizione che vi fossero eccezioni a favore della tutela della vita e salute della donna.
Dal 1973 a oggi, quella sentenza aveva posto la legislazione sull’aborto negli USA in una posizione particolare rispetto ad altri paesi, anche in Occidente, come una delle più liberali e libertarie, con notevoli differenze rispetto anche alla legge 194 in Italia, da molti punti di vista: della procedura (ruolo centrale delle Corti e del sistema federale in USA, del Parlamento in Italia), della cultura giuridica e motivazioni morali (un diritto costituzionale in USA; in Italia la difesa del diritto alla salute della donna in un sistema teso a limitare il numero degli aborti), e in generale del sistema socio-economico in cui la questione s’inserisce (la mancanza di un sistema sanitario pubblico nazionale e di sostegno alla maternità in USA, a partire dal congedo parentale, anche per quanti lavorano per istituzioni cattoliche).
Torna un sogno da anni Cinquanta
Sullo spettro delle diverse opzioni giuridiche possibili, tra la proibizione a livello costituzionale da un lato e il diritto all’aborto inserito nella Costituzione dall’altro (tra le altre opzioni intermedie: illegale ma depenalizzato, oppure legale ma limitato e scoraggiato), Roe v. Wade aveva fondato l’interruzione volontaria di gravidanza sul diritto costituzionale alla privacy, andando anche oltre le aspettative degli attivisti pro choice del tempo.
Ora, con la sentenza Dobbs, il pendolo torna a oscillare verso l’estremo opposto in molti stati degli USA, con la Corte suprema che restituisce loro il diritto di legiferare – pochi giorni dopo che la stessa Corte aveva negato allo Stato di New York il potere di farlo circa il diritto di portare le armi.
La sentenza è stata celebrata e deplorata con manifestazioni di piazza dei fronti opposti, a Washington e in altre città, per lo più senza incidenti. Ma non è che l’inizio. Altre sentenze della Corte a maggioranza repubblicana di questi ultimi anni sono all’insegna di una difesa della religione nello spazio pubblico (il diritto di pregare in eventi sportivi di scuole pubbliche, il finanziamento pubblico a scuole cristiane): una Corte che ricorda l’America degli anni Cinquanta e che segnala una sconfitta epocale per il fronte laicista e separazionista.
È una nuova stagione d’attivismo giudiziario, non più di segno progressista (come lamentavano i repubblicani fino a qualche anno fa) ma di segno opposto: è la vittoria del movimento legale conservatore, in gran parte alimentato da cattolici presenti nelle facoltà di legge, nelle aule del Congresso e dei parlamenti degli stati, e nei circoli intellettuali vicini a vescovi e finanziatori organici al Partito repubblicano.
Non è la fine della storia del diritto all’aborto in America, ma comunque una tappa fondamentale nella lunga marcia durata 50 anni, arrivata a questo successo epocale grazie alla presidenza di Donald Trump. Il movimento politico-religioso pro-life aveva adottato una strategia di estremo pragmatismo diventando, dall’elezione di Ronald Reagan nel 1980 in poi, colonna portante del Partito repubblicano e adottando di volta in volta, con l’obbiettivo di rovesciare Roe v. Wade, questo o quel leader politico, ma senza infeudarsi per sempre a nessuno di essi.
Allo stesso tempo, a partire dagli anni Novanta, la partecipazione del cattolicesimo conservatore alle culture wars iniziate dal protestantesimo evangelicale ha agevolato una mutazione del movimento anti-abortista: da movimento popolare, da manifestazioni di piazza, a un movimento di élite che ha trasformato la classe politica del Partito repubblicano e si è inserito nel mondo intellettuale e accademico (specialmente nelle Facoltà di legge).
Corte super-potere
Una legge che codificava il diritto all’aborto in termini libertari è stata rovesciata; per il conservatorismo religioso finisce una distopia americana, mentre il mondo liberal-progressista denuncia l’inizio di una distopia di segno opposto. La questione della difesa della vita si riapre. Ma in America oggi questo accade in assenza di quelle istituzioni che potrebbero aiutare a trovare una soluzione a un dilemma morale che nell’era della bio-politica s’intreccia alle minacce al diritto alla privacy digitale e, nelle Chiese, alla disputa sul gender, sull’inclusione di cattolici LGBT, e sulle violenze e abusi sessuali.
Il prezzo che paga l’America è una divisione senza precedenti dai tempi della guerra civile, 160 anni fa: una divisione tra cittadini in stati diversi, tra i due partiti politici, tra culture, tra Chiese e religioni. Il Congresso è da tempo incapace di legiferare efficacemente, tranne rare eccezioni (come il finanziamento dell’invio di armi all’Ucraina).
La Corte suprema ha perso la sua autorità e legittimità di istituzione super partes ed è vista come un super-potere, espressione dei rapporti di forza tra i due partiti, sbilanciati ora e per decenni a venire (a causa della nomina a vita di giudici ancora relativamente giovani) a favore di un Partito repubblicano sempre più trumpiano, qualsiasi sia il futuro politico di Donald Trump.
Prima della sentenza, nel contesto della situazione economica internazionale e nazionale (con una inflazione ai livelli più alti da 40 anni a questa parte), ci si aspettava una vittoria dei repubblicani alle elezioni di medio termine del novembre 2022 e un’amministrazione Biden orfana della maggioranza al Congresso. La sentenza della Corte Suprema potrebbe dare un vantaggio elettorale ai democratici, sempre più identificati come il partito dell’aborto, anche a causa della inospitalità e ostilità del partito a personale politico che si discosti dall’ortodossia pro choice.
Sempre più insistenti sono i malumori circa la capacità di Biden (e della sua vice, Kamala Harris) di presentarsi, fare una estenuante campagna elettorale sul terreno (che non ebbe luogo nel 2020 causa pandemia), e vincere le prossime presidenziali del 2024 (quando Biden avrà quasi 82 anni).
Più divisa che mai è la Chiesa cattolica, che nella storia dell’aborto negli USA gioca un ruolo centrale: già negli anni Settanta aveva un ruolo maggiore e di battistrada rispetto alle Chiese protestanti a causa della posizione sul diritto naturale e sulle questioni della vita nella tradizione magisteriale e teologica.
La divisione tra cattolici è evidente a leggere il modo in cui diverse voci ufficiali hanno commentato la sentenza: toni trionfalistici, da Te Deum, nel comunicato della Conferenza episcopale (presieduta dall’arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gomez) e di alcuni vescovi attivi nel movimento pro-life meno celebrativi quelli dei cardinali Blase Cupich di Chicago, Joseph Tobin di Newark, Sean O’Malley di Boston, e Wilton Gregory di Washington, per esempio, che hanno espresso la consapevolezza che abrogare il diritto federale all’aborto non equivale a una maggiore protezione della vita in America, in assenza di politiche economiche e sociali adeguate.
Non dissimile è la divisione tra i cattolici, che potrebbe aumentare visto che la sentenza darà luogo a legislazioni estremamente diverse ed estremiste all’interno del paese.
Cattolici e guerre eucaristiche
Questa sentenza complica ulteriormente i rapporti tra la presidenza del cattolico Biden, i vescovi degli Stati Uniti e il pontificato di Francesco. Aiutato da alcuni cardinali in curia romana e in America, negli ultimi due anni il papa aveva fatto molto per proteggere Biden dalle sanzioni che una parte consistente dei vescovi voleva e vorrebbe imporre nei termini di una esclusione dalla comunione eucaristica dei politici cattolici del Partito democratico (il presidente ma anche la presidente della Camera, Nancy Pelosi, i politici cattolici al Congresso e nei parlamenti locali).
Nelle dichiarazioni dopo la sentenza, sia Biden sia i cattolici del Partito democratico si sono schierati senza mezzi termini per una difesa di Roe v. Wade, promettendo una risposta sul piano legislativo. Il 29 giugno, nel contesto di una serie di appuntamenti istituzionali (all’ambasciata degli USA presso la Santa Sede e con la Comunità di Sant’Egidio a Roma), Nancy Pelosi ha partecipato alla messa nella solennità dei santi Pietro e Paolo nella basilica di San Pietro in Vaticano presieduta da papa Francesco, durante la quale ha ricevuto la comunione: un atto interpretato da molti come una risposta, se non una sfida, al divieto di ricevere la comunione dichiarato contro Pelosi nel maggio 2022 dall’ordinario della sua diocesi, San Francisco, l’arcivescovo Salvatore Cordileone.
La sentenza Dobbs da un lato rende più difficile la difesa di Biden da parte di Francesco nel tentativo di disarmare l’escalation delle «guerre culturali» in cui l’aborto ha sempre avuto una funzione simbolica e politica straordinaria; dall’altro, dà a molti vescovi la pericolosa illusione che schierarsi col Partito repubblicano sia la soluzione per affrontare i mali dell’America.
La parte dell’episcopato che festeggia in modo acritico la vittoria sembra ignorare l’equazione morale che tiene assieme l’aborto, i tagli allo stato sociale e le ineguaglianze economiche acuite dalla dottrina del turbocapitalismo ultraliberista del Partito repubblicano negli ultimi 40 anni. Il Partito democratico ha cercato di fermare quella deriva socio-economica, ma si è anche congedato dal compromesso sull’aborto degli anni della presidenza Clinton, «aborto legale, sicuro e raro». Chiunque sulla scena politica e pubblica, nell’America del #MeToo movement e della crisi del sistema democratico, si auguri di rendere più rari gli aborti si esclude dalla possibilità di interloquire con la cultura liberal-progressista.
Una delle sentenze più importanti nella storia della Corte suprema è arrivata durante la celebrazione del Congresso mondiale delle famiglie a Roma e le audizioni della Commissione parlamentare statunitense d’inchiesta sul tentato colpo di stato da parte di Trump del 6 gennaio 2021.
Il pontificato di Francesco ha provato a leggere le questioni sociali e morali in una chiave diversa da quella della contrapposizione ideologica, in una critica implicita alla «American way of life» nella sua versione sia liberale sia progressista, in un recupero del Vaticano II non solo sulle questioni liturgiche ma anche di una visione di laicità aperta e positiva, di sana collaborazione fra la comunità ecclesiale e quella civile.
Ma l’America oggi va in una direzione diversa.
Massimo Faggioli