(L'Osservatore Romano) Il processo a Gesù «rappresenta la negazione più completa di quel che l’odierna civiltà giuridica indica come il giusto processo e le sue irrinunciabili esigenze, cui ogni persona ha diritto per la salvaguardia dei beni supremi della persona: onore, libertà e la vita». Lo ha affermato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nell’omelia della messa celebrata alle 9 di sabato 27, nella cappella Paolina del Palazzo apostolico, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale vaticano. Erano presenti, tra gli altri, il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Mario Draghi, il presidente della Corte costituzionale, Giancarlo Coraggio, e il ministro della Giustizia, Marta Cartabia.
La liturgia, ha detto il porporato, sollecita una riflessione sulla «celebrazione di quel che è stato definito il “mistero” del processo e dei principi che a esso sono naturalmente chiamati a presiedere». Il processo «è positiva celebrazione di giustizia, in cui il soggetto particolare, come attore, come convenuto o come imputato, entra con tutti i suoi diritti e le sue possibilità», ha affermato il segretario di Stato, ricordando «la responsabilità morale, oltre che giuridica, che al processo, cioè ai suoi operatori,viene affidata», trovando nel principio di legalità —rigorosamente osservato in tutte le componenti e conseguenze —il principale contenuto e il suo limite invalicabile». Senza dimenticare che «esiste sempre il rischio dell’errore giudiziario, il cui più clamoroso esempio è rappresentato dal processo di Cristo». Da qui «il provvido e necessario ricorso da parte del giudice all’equità, definita come la giustizia del caso singolo».
«In quanto tribunali dello Stato il cui sovrano è il Papa e la cui funzione è garantire al Papa l’indipendenza necessaria per l’esercizio della sua missione, —ha fatto notare il cardinale Parolin —è comprensibilissimo come e perché la fonte primaria dell’ordinamento di questo Stato-funzione non possa non essere il diritto canonico, con tutta intera la sua irriducibile peculiarità, che è quella di un vero diritto, che ha consapevolmente rinunciato alla nota della coercibilità esteriore, facendo piuttosto leva sulla forza interiore della libera adesione della coscienza, e il cui fine ultimo è metastorico esoprannaturale: la salus animarum, pur disciplinando, questo diritto, la vita esterna e sociale del popolo di Dio».
Quindi, ha concluso, «la riparazione delloscandalo, il ristabilimento dell’ordine e dellagiustizia e l’emendazione del reo vanno perseguite innanzitutto con la correzione fraterna,la riprensione canonica e altri mezzi squisitamente pastorali, mentre la pena canonica costituisce una misura eccezionale, l’estremo tentativo cui ricorrere quando siano stati esperitiinutilmente tutti gli altri mezzi. Essa, comunque, va applicata con equità e giustizia, senza alcun rigore, osservando tra la pena e il diritto il criterio della proporzionalità».
(L'Osservatore Romano, 27-28 marzo 2021)