(Damiano Serpi - ©copyright) Vi ricordate i manifesti affissi nottetempo per le vie della città eterna che, in un spassosissimo quanto ricercato romanesco, ci interrogavano su dove stava la misericordia di Papa Francesco dinnanzi a certe sue decisioni assunte per il bene della Chiesa e per dirimere le diatribe nate all’interno del Sovrano Ordine di Malta? Francesco ci rise sopra e non aggiunse altro. Vi ricordate la famosa lettera, anzi è meglio chiamarla nota spese, redatta su carta intestata della Santa Sede, ma piena zeppa di errori e rigorosamente senza alcuna firma in calce, che conteneva l’elencazione delle somme di denaro utilizzate nell’ormai tristemente noto “caso Orlandi” e diffusa da un noto giornalista che ancora oggi non ci ha detto da chi è come ha avuto quell‘inquietante documento?
Il Santo Padre fece rispondere la Santa Sede preoccupandosi della sofferenza e del dolore di quella famiglia senza risposte concrete da troppi anni. Sovvenite quel documento firmato da un centinaio tra professori universali e studiosi dove si arrivava a definire eretico il Papa per le posizioni espresse nella esortazione apostolica “Amoris Laetitia”? Anche quella volta Francesco scelse il silenzio rumoroso delle opere di misericordia. Con un piccolo sforzo non ci sarà difficile ricordare tutti questi episodi. Ora i giornali di tutto il mondo ci raccontano di questa lunghissima lettera, oltre 10 pagine, di un arcivescovo italiano ex nunzio negli Usa che, dopo ben 5 anni dall’inizio del pontificato di Francesco e dopo essere stato esautorato da ogni responsabilità presso la Santa Sede per questioni varie e incresciose, vuole convincerci tutti che il Papa sapeva del coinvolgimento di un Cardinale statunitense in assodati crimini di pedofilia già nel 2013 ma non ha fatto nulla.
Ieri, durante la solita conferenza stampa in aereo per il suo rientro dall’Irlanda, Papa Francesco ha risposto a una domanda su questa lettera dell’arcivescovo ed ex nunzio Viganò chiedendo ai giornalisti presenti, e per tramite loro a tutti noi, di leggere con attenzione quelle lunghe parole dell’ex prelato ormai a riposo e, così, poter formulare un nostro giudizio. Lui, il Papa, non avrebbe, e non ha di fatto, aggiunto altro. Perché lo ha fatto? Perché si è limitato a invitare i giornalisti a leggere questa lettera di accuse senza cercare di difendersi, di giustifarsi, di dire la sua versione? Che scelta è quella di lasciare ai giornalisti e a tutti noi la libertà di arrivare a delle conclusioni leggendo solo ciò che intende diffondere chi si erge ad accusatore? Non sarebbe stato meglio difendere il proprio operato a spada tratta?
Una scelta sicuramente molto strana e, per certi versi, anche incomprensibile in questa società dove tutti gridano e tutti vogliono avere ragione. Ormai nel nostro mondo quotidiano siamo continuamente subissati di scandali e di presunti scoop che ogni volta che si alza un polverone per accusare qualcuno siamo già abituati a discutere non tanto sulle accuse concrete che vengono mosse e sulla veridicità degli indizi e delle prove, ma esclusivamente su come si ribatte alle accuse e sulle polemiche che innescano un vortice senza fine. Se ci pensate è davvero così. Oggigiorno i polveroni mediatici non si basano più su un corretto riscontro delle accuse che si intendono muovere ma solo scandagliando e parafrasando le risposte date da chi si deve difendere. Ecco perché questo atteggiamento del Papa di fronte ad un documento che, stiamone pur certi, avrà arrecato in lui tanta sofferenza ci sembra difficile da comprendere. Tuttavia, non lo è se cambiamo prospettiva e accogliamo la sfida di soffermarci a leggere con buon senso e onestà intellettuale quell’atto di accusa.
Accogliendo la sfida del Papa si potranno infatti leggere quelle interminabili parole dell’ex nunzio Viganò per quelle che sono realmente, ovvero l’ultimo maldestro tentativo in ordine di tempo di delegittimare l’operato del Papa. Ora lo si fa giocando pesantemente e pericolosamente su un tema, quello della pedofilia all’interno della Chiesa, che sta angosciando tutti noi fedeli. I tempi, i modi e i contenuti di ciò che ha scritto l’arcivescovo Viganò non possono essere tutte solo coincidenze. Sarebbe troppo da sciocchi pensarlo, figuriamoci crederlo. Perché diffondere proprio durante la visita apostolica in Irlanda certe notizie datate, se veritiere, di ben 5 anni? Perché farlo con i toni di chi si reputa una vittima senza però pentirsi, se le accuse sono veritiere, di essere stato lui il primo a non aver fatto nulla e ad aver taciuto? Perché usare dei media notoriamente contrari al papato di Francesco per veicolare al grande pubblico questa lettera invece che accettare il confronto?
Domande legittime che in queste ore si stanno ponendo in molti e che, da più parti, ci raccontano la storia di un arcivescovo descritto da molti come deluso per non essere stato premiato, rancoroso per non aver accettato dentro di se le decisioni prese dal Papa sulla sua carriera. C’è chi racconta di un sacerdote in perenne lite con la propria famiglia che mentì, così pare, persino a Benedetto XVI sul suo concreti impegno nell’assistere un suo congiunto colpito da seri problemi di salute col solo intento di poter restare a Roma e non essere allontanato dagli uffici che contano. Tuttavia tutto ciò è veramente poco importante, anzi non lo è affatto. Tutto questo è solo pettegolezzo, gossip, rimestare nel torbido per continuare ad alimentare un vortice senza fine. Ciò che racconta monsignor Viganò in quella lunga lettera è un insieme di dati, nomi e circostanze vere mischiate a considerazioni, supposizioni e illazioni che non possono trovare conferma perché espressione delle sue stesse convinzioni e credenze. Non siamo noi a dirlo ma lui a scriverlo. Ciò che si legge mano a mano che si assottigliano le righe dattiloscritte di quel lungo testo è il disagio di un uomo per essere stato messo da parte e il bisogno, terribile e oprimente, di ottenerne in qualche modo riparazione. Le parti più importanti e anche più diffamanti per il Papa e per la Chiesa contenute in quella lettera non sono e non possono essere in alcun modo comprovate da chi legge. Quel testo è stato scritto, composto, elaborato e diffuso con l’unico scopo di seminare il dubbio, di suscitare scalpore, di fomentare quel sospetto che corrode ogni certezza, persino la più salda. Insomma, più che giustizia quel testo voleva cercare e provocare clamore, scandalo, incertezza., dubbi e chiacchiere.
Far passare Papa Francesco come uno dei tanti sacerdoti, vescovi e cardinali che hanno coperto i propri sottoposti o fratelli è il tentativo più meschino di rimettere in campo le strategie già usate in passato con i manifesti affissi nottetempo per Roma, con la diffusione pubblica di un memoriale falso sul caso Orlandi e con le false accuse di eresia. Tutti episodi dove si mescolano verità assodate e ipotesi fantasiose con il solo scopo di atterrire il lettore e far germogliare dentro la sua mente il seme del dubbio e del più atroce sospetto. Niente di più. Dopo aver letto con attenzione, come ha suggerito proprio Papa Francesco, questa ultima lettera polverone ci si accorge infatti di essere di fronte ad accuse fondate sul nulla perché non coperte da evidenze, da prove, da riscontri oggettivi. Accuse smentita da ciò che si è detto, fatto, chiesto di fare e programmato. In quella lettera si rimanda al sentito dire, al “si dice”, al “mi è sembrato di” o “è notorio che”. Ci viene raccontato di un incontro riservato che dovrebbe rappresentare quella “pistola fumante” dalla quale legittimare le richieste di dimissioni di un Papa. Però quello fu un incontro dove i soli occhi che si sono incrociati sono stati quelli del Papa e dell’allora arcivescovo. Nessuno di noi può sapere con certezza come siano andate le cose durante quell’incontro perché era riservato e così sarebbe dovuto restare. Troppo facile giocarci sopra o, peggio, macchinarci su ogni tentativo di forzare la verità. A chi credere? Al Santo Padre o a un monsignore che lo colpisce alle spalle con una accusa propriomin uno dei momenti più delicati del suo pontificato? Beh, letto tutto e soppesato tutto io credo al Papa, alla sua buona fede, alla sua parola, ai suoi gesti, a ciò che rappresenta per ognuno di noi.
Sulla pedofilia, su questo sconvolgente crimine, il Papa e la Chiesa hanno parlato in questi anni con i fatti. Forse, anzi certamente, c’è ancora tantissimo da fare e occorre dotarsi di strumenti che permettano di combattere questa piaga con ancora più fermezza e severità anche in quei settori ancora riottosi che preferiscono il silenzio e l’insabbiamento alla verità, tuttavia è innegabile che rispetto al passato si sia intrapreso un percorso, peraltro in linea con quanto già avviato da Benedetto XVI, che si pone oggi come obiettivo quello di garantire trasparenza, di tendere l’orecchio per non lasciare sole le vittime e di garantire ad esse giustizia. Proprio per questo ha davvero ragione il Santo Padre, si legga con attenzione la lettera accusa dell’arcivescono Viganò e poi si soppesi ciò che è stato finora il pontificato di Francesco. La conclusione non potrà che essere una sola e ci basterà il buon senso per poterci arrivare.
Ieri, durante la solita conferenza stampa in aereo per il suo rientro dall’Irlanda, Papa Francesco ha risposto a una domanda su questa lettera dell’arcivescovo ed ex nunzio Viganò chiedendo ai giornalisti presenti, e per tramite loro a tutti noi, di leggere con attenzione quelle lunghe parole dell’ex prelato ormai a riposo e, così, poter formulare un nostro giudizio. Lui, il Papa, non avrebbe, e non ha di fatto, aggiunto altro. Perché lo ha fatto? Perché si è limitato a invitare i giornalisti a leggere questa lettera di accuse senza cercare di difendersi, di giustifarsi, di dire la sua versione? Che scelta è quella di lasciare ai giornalisti e a tutti noi la libertà di arrivare a delle conclusioni leggendo solo ciò che intende diffondere chi si erge ad accusatore? Non sarebbe stato meglio difendere il proprio operato a spada tratta?
Una scelta sicuramente molto strana e, per certi versi, anche incomprensibile in questa società dove tutti gridano e tutti vogliono avere ragione. Ormai nel nostro mondo quotidiano siamo continuamente subissati di scandali e di presunti scoop che ogni volta che si alza un polverone per accusare qualcuno siamo già abituati a discutere non tanto sulle accuse concrete che vengono mosse e sulla veridicità degli indizi e delle prove, ma esclusivamente su come si ribatte alle accuse e sulle polemiche che innescano un vortice senza fine. Se ci pensate è davvero così. Oggigiorno i polveroni mediatici non si basano più su un corretto riscontro delle accuse che si intendono muovere ma solo scandagliando e parafrasando le risposte date da chi si deve difendere. Ecco perché questo atteggiamento del Papa di fronte ad un documento che, stiamone pur certi, avrà arrecato in lui tanta sofferenza ci sembra difficile da comprendere. Tuttavia, non lo è se cambiamo prospettiva e accogliamo la sfida di soffermarci a leggere con buon senso e onestà intellettuale quell’atto di accusa.
Accogliendo la sfida del Papa si potranno infatti leggere quelle interminabili parole dell’ex nunzio Viganò per quelle che sono realmente, ovvero l’ultimo maldestro tentativo in ordine di tempo di delegittimare l’operato del Papa. Ora lo si fa giocando pesantemente e pericolosamente su un tema, quello della pedofilia all’interno della Chiesa, che sta angosciando tutti noi fedeli. I tempi, i modi e i contenuti di ciò che ha scritto l’arcivescovo Viganò non possono essere tutte solo coincidenze. Sarebbe troppo da sciocchi pensarlo, figuriamoci crederlo. Perché diffondere proprio durante la visita apostolica in Irlanda certe notizie datate, se veritiere, di ben 5 anni? Perché farlo con i toni di chi si reputa una vittima senza però pentirsi, se le accuse sono veritiere, di essere stato lui il primo a non aver fatto nulla e ad aver taciuto? Perché usare dei media notoriamente contrari al papato di Francesco per veicolare al grande pubblico questa lettera invece che accettare il confronto?
Domande legittime che in queste ore si stanno ponendo in molti e che, da più parti, ci raccontano la storia di un arcivescovo descritto da molti come deluso per non essere stato premiato, rancoroso per non aver accettato dentro di se le decisioni prese dal Papa sulla sua carriera. C’è chi racconta di un sacerdote in perenne lite con la propria famiglia che mentì, così pare, persino a Benedetto XVI sul suo concreti impegno nell’assistere un suo congiunto colpito da seri problemi di salute col solo intento di poter restare a Roma e non essere allontanato dagli uffici che contano. Tuttavia tutto ciò è veramente poco importante, anzi non lo è affatto. Tutto questo è solo pettegolezzo, gossip, rimestare nel torbido per continuare ad alimentare un vortice senza fine. Ciò che racconta monsignor Viganò in quella lunga lettera è un insieme di dati, nomi e circostanze vere mischiate a considerazioni, supposizioni e illazioni che non possono trovare conferma perché espressione delle sue stesse convinzioni e credenze. Non siamo noi a dirlo ma lui a scriverlo. Ciò che si legge mano a mano che si assottigliano le righe dattiloscritte di quel lungo testo è il disagio di un uomo per essere stato messo da parte e il bisogno, terribile e oprimente, di ottenerne in qualche modo riparazione. Le parti più importanti e anche più diffamanti per il Papa e per la Chiesa contenute in quella lettera non sono e non possono essere in alcun modo comprovate da chi legge. Quel testo è stato scritto, composto, elaborato e diffuso con l’unico scopo di seminare il dubbio, di suscitare scalpore, di fomentare quel sospetto che corrode ogni certezza, persino la più salda. Insomma, più che giustizia quel testo voleva cercare e provocare clamore, scandalo, incertezza., dubbi e chiacchiere.
Far passare Papa Francesco come uno dei tanti sacerdoti, vescovi e cardinali che hanno coperto i propri sottoposti o fratelli è il tentativo più meschino di rimettere in campo le strategie già usate in passato con i manifesti affissi nottetempo per Roma, con la diffusione pubblica di un memoriale falso sul caso Orlandi e con le false accuse di eresia. Tutti episodi dove si mescolano verità assodate e ipotesi fantasiose con il solo scopo di atterrire il lettore e far germogliare dentro la sua mente il seme del dubbio e del più atroce sospetto. Niente di più. Dopo aver letto con attenzione, come ha suggerito proprio Papa Francesco, questa ultima lettera polverone ci si accorge infatti di essere di fronte ad accuse fondate sul nulla perché non coperte da evidenze, da prove, da riscontri oggettivi. Accuse smentita da ciò che si è detto, fatto, chiesto di fare e programmato. In quella lettera si rimanda al sentito dire, al “si dice”, al “mi è sembrato di” o “è notorio che”. Ci viene raccontato di un incontro riservato che dovrebbe rappresentare quella “pistola fumante” dalla quale legittimare le richieste di dimissioni di un Papa. Però quello fu un incontro dove i soli occhi che si sono incrociati sono stati quelli del Papa e dell’allora arcivescovo. Nessuno di noi può sapere con certezza come siano andate le cose durante quell’incontro perché era riservato e così sarebbe dovuto restare. Troppo facile giocarci sopra o, peggio, macchinarci su ogni tentativo di forzare la verità. A chi credere? Al Santo Padre o a un monsignore che lo colpisce alle spalle con una accusa propriomin uno dei momenti più delicati del suo pontificato? Beh, letto tutto e soppesato tutto io credo al Papa, alla sua buona fede, alla sua parola, ai suoi gesti, a ciò che rappresenta per ognuno di noi.
Sulla pedofilia, su questo sconvolgente crimine, il Papa e la Chiesa hanno parlato in questi anni con i fatti. Forse, anzi certamente, c’è ancora tantissimo da fare e occorre dotarsi di strumenti che permettano di combattere questa piaga con ancora più fermezza e severità anche in quei settori ancora riottosi che preferiscono il silenzio e l’insabbiamento alla verità, tuttavia è innegabile che rispetto al passato si sia intrapreso un percorso, peraltro in linea con quanto già avviato da Benedetto XVI, che si pone oggi come obiettivo quello di garantire trasparenza, di tendere l’orecchio per non lasciare sole le vittime e di garantire ad esse giustizia. Proprio per questo ha davvero ragione il Santo Padre, si legga con attenzione la lettera accusa dell’arcivescono Viganò e poi si soppesi ciò che è stato finora il pontificato di Francesco. La conclusione non potrà che essere una sola e ci basterà il buon senso per poterci arrivare.