L'Osservatore Romano
«Siamo perplessi e rattristati dalla possibilità che si approvi la legge sulla depenalizzazione dell’aborto. Sarebbe la prima volta che in Argentina e in tempi di democrazia si imporrebbe una legge che autorizza l’eliminazione di un essere umano da parte di un altro essere umano». È uno dei passaggi più significativi dell’omelia pronunciata ieri dal vescovo di San Isidro, Óscar Vicente Ojea, presidente della Conferenza episcopale argentina, in occasione della messa per la vita convocata nella basilica di Luján. Davanti a migliaia di persone, il presule ha ribadito il no della Chiesa al disegno di legge che depenalizza l’interruzione volontaria di gravidanza. Il provvedimento, approvato il 14 giugno dalla Camera dei deputati, è atteso per la votazione al Senato l’8 agosto. Con il motto «Ai tuoi piedi rinnoviamo la speranza» e l’hashtag #ValeTodaVida, la messa si è svolta contemporaneamente in una ventina di altre città sede di diocesi.
Monsignor Ojea si è rivolto alla Vergine di Luján, patrona del popolo argentino, chiedendo la sua intercessione: «Siamo venuti a chiederle di insegnarci il cammino per imparare a rispettare la vita, a prendercene cura, a difenderla e a servirla. A rispettarla, perché la vita è puro dono di Dio, per questo è sacra. Noi non siamo i proprietari ma gli amministratori di questo grande bene. Essa è il primo e fondamentale bene, che è al di là di noi. Un bene che non “fabbrichiamo” anche se abbiamo la meravigliosa possibilità di trasmetterlo cooperando con il creatore». E ha ricordato «quando abbiamo iniziato a lavorare anni fa nei centri di recupero dei giovani con dipendenze, nelle strutture di quartiere, nelle case di Cristo», e l’esortazione rivolta ai responsabili da Papa Francesco, ad «accettare la vita come viene», così com’è. «Sappiamo che non è sempre facile ricevere la vita così come viene, a volte accade in contesti conflittuali e angoscianti. Tuttavia è sempre possibile curarla e difenderla», ha spiegato il presidente dell’episcopato, prendendo come esempio le «tante madri che sono riuscite a superare circostanze molto complesse scegliendo di prendersi cura e difendere il bambino che hanno con sé. Noi uomini non possiamo sentire nel nostro corpo la presenza di un altro essere umano che cresce. Non possiamo sperimentarlo. Sono le donne che trasmettono questo coraggio e questo onere per l’impegno fisico che hanno con la vita e per la vicinanza a essa». Ma chi crede nella tutela della vita dal concepimento alla sua fine naturale non può restare alle dichiarazioni, alle parole. Serve un impegno sociale concreto, la previsione di «condizioni degne per accogliere la vita, accompagnando da vicino quelle nostre sorelle che hanno gravidanze in situazioni psicologiche e sociali estremamente vulnerabili e fragili». È necessario «trovare soluzioni nuove e creative affinché nessuna donna cerchi di ricorrere a un esito che non è una soluzione per nessuno».
Ojea cita l’esortazione apostolica del Pontefice Gaudete et exsultate, poi si rivolge direttamente ai giovani: «Ragazzi, ragazze, l’aborto non è un diritto ma un dramma. Questo dramma ci riempie di angoscia perché viene presa in considerazione la scelta tra due vite. Ma il dramma ha un finale aperto e potete decidere a favore di entrambe». Sotto accusa la cultura del consumismo: «Non è vero che possiamo fare quello che vogliamo, senza preoccuparci. Tale ragionamento è il risultato di una cultura che ci costringe a ignorarci l’un l’altro come se la patria fosse un insieme di individui in cui a nessuno importa che l’altro sia sofferente». Invece, «più vogliamo bene alle persone, più ci importa di ciò che accade loro».
Alla concelebrazione eucaristica nel santuario di Luján hanno partecipato cinquantadue presuli, tra i quali il cardinale Mario Aurelio Poli e il nunzio apostolico Léon Kalenga Badikebele.
L'Osservatore Romano, 9-10 luglio 2018.
Monsignor Ojea si è rivolto alla Vergine di Luján, patrona del popolo argentino, chiedendo la sua intercessione: «Siamo venuti a chiederle di insegnarci il cammino per imparare a rispettare la vita, a prendercene cura, a difenderla e a servirla. A rispettarla, perché la vita è puro dono di Dio, per questo è sacra. Noi non siamo i proprietari ma gli amministratori di questo grande bene. Essa è il primo e fondamentale bene, che è al di là di noi. Un bene che non “fabbrichiamo” anche se abbiamo la meravigliosa possibilità di trasmetterlo cooperando con il creatore». E ha ricordato «quando abbiamo iniziato a lavorare anni fa nei centri di recupero dei giovani con dipendenze, nelle strutture di quartiere, nelle case di Cristo», e l’esortazione rivolta ai responsabili da Papa Francesco, ad «accettare la vita come viene», così com’è. «Sappiamo che non è sempre facile ricevere la vita così come viene, a volte accade in contesti conflittuali e angoscianti. Tuttavia è sempre possibile curarla e difenderla», ha spiegato il presidente dell’episcopato, prendendo come esempio le «tante madri che sono riuscite a superare circostanze molto complesse scegliendo di prendersi cura e difendere il bambino che hanno con sé. Noi uomini non possiamo sentire nel nostro corpo la presenza di un altro essere umano che cresce. Non possiamo sperimentarlo. Sono le donne che trasmettono questo coraggio e questo onere per l’impegno fisico che hanno con la vita e per la vicinanza a essa». Ma chi crede nella tutela della vita dal concepimento alla sua fine naturale non può restare alle dichiarazioni, alle parole. Serve un impegno sociale concreto, la previsione di «condizioni degne per accogliere la vita, accompagnando da vicino quelle nostre sorelle che hanno gravidanze in situazioni psicologiche e sociali estremamente vulnerabili e fragili». È necessario «trovare soluzioni nuove e creative affinché nessuna donna cerchi di ricorrere a un esito che non è una soluzione per nessuno».
Ojea cita l’esortazione apostolica del Pontefice Gaudete et exsultate, poi si rivolge direttamente ai giovani: «Ragazzi, ragazze, l’aborto non è un diritto ma un dramma. Questo dramma ci riempie di angoscia perché viene presa in considerazione la scelta tra due vite. Ma il dramma ha un finale aperto e potete decidere a favore di entrambe». Sotto accusa la cultura del consumismo: «Non è vero che possiamo fare quello che vogliamo, senza preoccuparci. Tale ragionamento è il risultato di una cultura che ci costringe a ignorarci l’un l’altro come se la patria fosse un insieme di individui in cui a nessuno importa che l’altro sia sofferente». Invece, «più vogliamo bene alle persone, più ci importa di ciò che accade loro».
Alla concelebrazione eucaristica nel santuario di Luján hanno partecipato cinquantadue presuli, tra i quali il cardinale Mario Aurelio Poli e il nunzio apostolico Léon Kalenga Badikebele.