(a cura Redazione "Il sismografo")
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S. Silva - H. Valenzuela - T. Koljatic |
Si può immaginare che, nelle intenzioni originali del Papa, questo colloquio fosse una summa conclusiva degli incontri, invitando i vescovi a riflettere e pregare su quello di cui si era discusso. Una frase pronunciata da Francesco in Cile ai vescovi lascia intuire ciò: «era questo che volevo dirvi come riassunto delle cose principali di cui abbiamo parlato nel corso delle visite ad limina».
A maggio invece ci sarà un nuovo incontro, il quarto in 15 mesi, cosa del tutto inedita e insolita nella vita della chiesa negli ultimi anni.
Presidente dei vescovi: la nostra crisi in quanto Popolo di Dio è frutto del disfacimento del tessuto discepolare ed ecclesiale e della mancanza di dialogo con la società cilena
Importante, interessante e fondamentale sembra essere la Nota editoriale pubblicata sul sito web dell'Episcopato cileno e firmata dal Presidente della Conferenza episcopale, mons. Santiago Silva, vescovo castrense. Il testo, "Discernere strade per tempi di tempesta", conclude con un pensiero chiave: «La crisi non sarà risolta solo dai vescovi. Si tratta di un lavoro del Popolo di Dio, e dei vescovi, in quanto membri del Popolo di Dio. Da qui l'indispensabile partecipazione di quest'ultimo all'intero processo di rinnovamento disciplinare ed ecclesiale». Il Presidente della Conferenza sottolinea: «Come Chiesa in Cile non stiamo bene. La crisi si è stabilita al suo interno, in quanto Popolo di Dio, e dunque non è solo una crisi dell'Episcopato. Non è neanche una crisi con riferimento unicamente alla manipolazione della coscienza o degli abusi sessuali. Penso che tutte queste aberrazioni sono manifestazioni del nucleo della crisi, vale a dire: il disfacimento - a tutti i livelli - del tessuto discepolare ed ecclesiale, al medesimo tempo, alla mancanza di capacità, come chiesa, di dialogo con i nuovi contesti culturali e le loro sfide antropologiche e sociali. Non si tratta di realtà scollegate fra loro. Una influisce sull'altra e insieme configurano la situazione critica di oggi».
Per mons. Silva questo è il nocciolo della crisi e del declino della chiesa cattolica in Cile. La via di uscita è il Cristo Risorto e il "rinnovamento incarnato" "che deve mettere al centro l'incontro vitale e comunitario con Gesù"; incontro che "ci apre alla misericordia del Padre e ci dà il suo Spirito per incoraggiare processi permanenti di conversione personale e pastorale. Da questa fonte, la via del rinnovamento, dovrà considerare ciò che sfida il nostro stile di essere Chiesa oggi e il nostro lavoro di evangelizzazione. Per essere una "Chiesa in uscita" dovremo farci carico della comunione ecclesiale e della comunicazione della fede"; dovremo essere capaci di dare risposte al bisogno di "vicinanza ed empatia come ministri di Cristo con l'uomo e con la donna di oggi; di impegno affettivo ed efficace di fronte al dolore e alla povertà, poiché Gesù Cristo vuole una povera Chiesa per i poveri".
Per mons. Silva, infine, occorre che i vescovi siano capaci "di incorporare i laici, donne, giovani e anziani nella Chiesa come veri protagonisti", capaci di stimolare "rinnovamento delle strutture ecclesiali affinché trasmettano la vitalità di Cristo" per contrastare la "progressiva diminuzione delle vocazioni", per migliorare "la formazione nei seminari e noviziati, in particolare la dimensione affettiva e relazionale" dei candidati al sacerdozio. Infine, mons. silva auspica una formazione permanente dei vescovi, sacerdoti e religiosi, convinto che tutto ciò aiuterà a rispondere meglio alle sfide della crisi, in particolare nell'ambito degli abusi di autorità nonché di natura sessuale su minorenni.
I vescovi di Talca e di Linares
Mons. Horacio Valenzuela, vescovo cileno della città di Talca e uno dei 4 sacerdoti dell'ex Fraternità sacerdotale di padre Karadima diventati poi vescovi, ha rilasciato alcune dichiarazioni molto discutibili ai media del Paese sudamericano. Lo stile e il tono di tali affermazioni non anticipano nulla di buono sull'incontro tra l'Episcopato del Cile e il Papa per affrontare la crisi di questa comunità ecclesiale. Le parole del vescovo Valenzuela hanno scatenato una valanga di polemiche, proteste e prese di posizione, alcuni ritengono che quella del vescovo di Talca sia stata una vera provocazione e un tentativo di sabotare l’incontro in Vaticano.
Mons. Valenzuela in merito ai numerosi abusi sessuali, protrattisi per decenni, del suo mentore e guida spirituale padre Fernando Karadima, ha detto: «mi sono sbagliato nel non percepire che accadevano delle cose cattive» (NdR: all’interno della parrocchia el Bosque e della Fraternità sacerdotale alla quale apparteneva). Da molto tempo gli altri tre vescovi del "gruppo Karadima" - mons. Juan Barros, Osorno/ mons. Andrés Arteaga, Ausiliare di Santiago e mons. Tomislav Koljatic, Linares - ripetono la stessa frase e tutte le volte che sono stati chiamati a dichiarare in alcuni processi si sono limitati a ribadire questo mantra. Le denunce di abusi nella Fraternità e nella parrocchia, che Karadima governava come sovrano assoluto, da parte di altri sacerdoti "figli spirituali del prete", smentisce questa versione sostenuta dai 4 vescovi. Sembrerebbe che essi siano stati gli unici a non aver mai visto né sentito nulla, eppure degli abusi nel gruppo di Karadima si parlava da oltre tre decadi; ne è prova il fatto che il primo evento denunciato alla giustizia nel 2010 risale addirittura al 1955.
Mons. Valenzuela ha però aggiunto un’altra presa di posizione che in queste ore sta facendo molto discutere in Cile. Ha detto: «la strada del chiedere rinunce non è la soluzione".
La frase è sembrata a molti una vera "frivolità" tenuto conto della gravità del momento. La stragrande maggioranza dell’opinione pubblica cilena, cattolica e non, da tempo si è fatta un’idea molto solida sulla crisi: la prima cosa che deve succedere per ricominciare, guarire, sanare e rendere giustizia, è l’allontanamento dei principali responsabili di una parte molto grave della crisi - gli abusi e la politica degli occultamenti - e tra loro i 4 vescovi del gruppo Karadima.
In tutto ciò mons. Juan Barros, dopo essere stato molto loquace nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione della lettera del Papa ai vescovi del Paese, si è chiuso nel più completo silenzio. In questi giorni non si è presentato ad alcuni impegni pastorali della diocessi dove era stato annunciato.
Anche l'altro presule del gruppo Karadima, mons. Tomislav Koljatic vescovo di Linares, ha preso posizione seppure con sfumature importanti e cambiando tono rispetto al passato. T. Koljatic, la cui rinuncia è stata richiesta giorni fa parte di un folto gruppo di fedeli così come a mons. Horacio Valenzuela, vescovo di Talca, ha dichiarato ieri alla radio Cooperativa: «non sono stato sufficientemente lucido per capire ciò che accadeva nella parrocchia El Bosque e dunque ora mi devo assumere le mie responsabilità. Vedremo».