domenica 26 febbraio 2017

Vaticano
Visita del Santo Padre Francesco alla Comunità Anglicana nella Chiesa «All Saints’» di Roma. Domande e risposte
Sala stampa della Santa Sede
Prima dello scambio dei doni, il Santo Padre ha tenuto un dialogo con alcuni membri della Congregazione. Riportiamo di seguito la trascrizione delle domande e risposte:
DOMANDA: Durante le nostre liturgie, molte persone entrano nella nostra chiesa e si meravigliano perché "sembra proprio una chiesa cattolica!".
Molti cattolici hanno sentito parlare del Re Enrico VIII, ma sono ignari delle tradizioni anglicane e del progresso ecumenico di questo mezzo secolo.
Cosa vorrebbe dire loro circa il rapporto tra cattolici e anglicani oggi?
RISPOSTA DEL PAPA
E’ vero, il rapporto tra cattolici e anglicani oggi è buono, ci vogliamo bene come fratelli! E’ vero che nella storia ci sono cose brutte dappertutto, e “strappare un pezzo” dalla storia e portarlo come se fosse un’ “icona” dei [nostri] rapporti non è giusto. Un fatto storico deve essere letto nell’ermeneutica di quel momento, non con un’altra ermeneutica. E i rapporti di oggi sono buoni, ho detto. E sono andati oltre, dalla visita del primate Michael Ramsey, e ancora di più… Ma anche nei santi, noi abbiamo una comune tradizione dei santi che il vostro parroco ha voluto sottolineare. E mai, mai le due Chiese, le due tradizioni hanno rinnegato i santi, i cristiani che hanno vissuto la testimonianza cristiana fino a quel punto. E questo è importante. Ma ci sono stati anche rapporti di fratellanza in tempi brutti, in tempi difficili, dov’erano tanto mischiati il potere politico, economico, religioso, dove c’era quella regola “cuius regio eius religio” ma anche in quei tempi c’erano alcuni rapporti…
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Io ho conosciuto in Argentina un vecchio gesuita, anziano, io ero giovane lui era anziano, padre Guillermo Furlong Cardiff, nato nella città di Rosario, di famiglia inglese; e lui da ragazzino è stato chierichetto - lui è cattolico, di famiglia inglese cattolica – lui è stato chierichetto a Rosario nei funerali della Regina Vittoria, nella chiesa anglicana. Anche a quei tempi c’era questo rapporto. E i rapporti fra cattolici e anglicani sono rapporti - non so se storicamente si può dire così, ma è una figura che ci aiuterà a pensare - due passi avanti, mezzo passo indietro, due passi avanti mezzo passo indietro… E’ così. Sono umani. E dobbiamo continuare in questo.
C’è un’altra cosa che ha mantenuto forte il collegamento tra le nostre tradizioni religiose: ci sono i monaci, i monasteri. E i monaci, sia cattolici sia anglicani, sono una grande forza spirituale delle nostre tradizioni.
E i rapporti, come vorrei dirvi, sono migliorati ancora di più, e a me piace, questo è buono. “Ma non facciamo tutte le cose uguali…”. Ma camminiamo insieme, andiamo insieme. Per il momento va bene così. Ogni giorno ha la propria preoccupazione. Non so, questo mi viene da dirti. Grazie.
DOMANDA: Il suo predecessore, Papa Benedetto XVI, ha messo in guardia circa il rischio, nel dialogo ecumenico, di dare la priorità alla collaborazione dell’azione sociale anziché seguire il cammino più esigente dell'accordo teologico.
A quanto pare, Lei sembra preferire il contrario, cioè "camminare e lavorare" insieme per raggiungere la mèta  dell'unità dei cristiani. Vero?
RISPOSTA DEL PAPA
Io non conosco il contesto nel quale il Papa Benedetto ha detto questo, non conosco e per questo è un po’ difficile per me, mi mette in imbarazzo per rispondere… Ha voluto dire questo o no… Forse può essere stato in un colloquio con i teologi… Ma non sono sicuro. Ambedue le cose sono importanti. Questo certamente. Quale delle due ha la priorità?... E dall’altra parte c’è la famosa battuta del patriarca Atenagora - che è vera, perché io ho fatto la domanda al patriarca Bartolomeo e mi ha detto: “Questo è vero” -, quando ha detto al beato Papa Paolo VI: “Noi facciamo l’unità fra noi, e tutti i teologi li mettiamo in un’isola perché pensino!”. Era uno scherzo, ma ero, storicamente vero, perché io dubitavo ma il patriarca Bartolomeo mi ha detto che è vero. Ma qual è il nocciolo di questo, perché credo che quello che ha detto Papa Benedetto è vero: si deve cercare il dialogo teologico per cercare anche le radici…, sui Sacramenti…, su tante cose su cui ancora non siamo d’accordo... Ma questo non si può fare in laboratorio: si deve fare camminando, lungo la via. Noi siamo in cammino e in cammino facciamo anche queste discussioni. I teologi le fanno. Ma nel frattempo noi ci aiutiamo, noi, l’uno con l’altro, nelle nostre necessità, nella nostra vita, anche spiritualmente ci aiutiamo. Per esempio nel gemellaggio c’era il fatto di studiare insieme la Scrittura, e ci aiutiamo nel servizio della carità, nel servizio dei poveri, negli ospedali, nelle guerre… E’ tanto importante, è tanto importante questo. Non si può fare il dialogo ecumenico fermi. No. Il dialogo ecumenico si fa in cammino, perché il dialogo ecumenico è un cammino, e le cose teologiche si discutono in cammino. Credo che con questo non tradisco la mente di Papa Benedetto, neppure la realtà del dialogo ecumenico. Così la interpreto io. Se io conoscessi il contesto nel quale è stata detta quella espressione, forse direi altrimenti, ma è questo che mi viene da dire.
DOMANDA: La chiesa All Saints iniziò con un gruppo di fedeli britannici, ma è ormai una Congregazione internazionale con gente proveniente da diversi Paesi.
In alcune regioni dell’Africa, dell’Asia o del Pacifico, i rapporti ecumenici tra le Chiese sono migliori e più creativi che qui in Europa.
Cosa possiamo imparare dall'esempio delle Chiese del Sud del mondo?
RISPOSTA DEL PAPA
Grazie. E’ vero. Le Chiese giovani hanno una vitalità diversa, perché sono giovani. E cercano un modo di esprimersi diversamente. Per esempio, una liturgia qui a Roma, o pensi a Londra o a Parigi, non è la stessa che una liturgia nel tuo Paese, dove la cerimonia liturgica, cattolica pure, si esprime con una gioia, con la danza e tante forme diverse proprie di quelle Chiese giovani. Le Chiese giovani hanno più creatività; e all’inizio anche qui in Europa era lo stesso: si cercava…. Quando tu leggi, per esempio, nella Didaché, come si faceva l’Eucaristia, l’incontro fra i cristiani, c’era una grande creatività. Poi crescendo, crescendo la Chiesa si è consolidata bene, è cresciuta a un’età adulta. Ma le chiese giovani hanno più vitalità e anche hanno il bisogno di collaborare, un bisogno forte. Per esempio io sto studiando, i miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan. Perché? Perché sono venuti i Vescovi, l’anglicano, il presbiteriano e il cattolico, tre insieme a dirmi: “Per favore, venga in Sud Sudan, soltanto una giornata, ma non venga solo, venga con Justin Welby”, cioè con l’arcivescovo di Canterbury. Da loro, Chiesa giovane, è venuta questa creatività. E stiamo pensando se si può fare, se la situazione è troppo brutta laggiù… Ma dobbiamo fare perché loro, i tre, insieme vogliono la pace, e loro lavorano insieme per la pace… C’è un aneddoto molto interessante. Quando il Beato Paolo VI ha fatto la beatificazione dei martiri dell’Uganda – Chiesa giovane –,   fra i martiri - erano catechisti, tutti, giovani - alcuni erano cattolici e altri anglicani, e tutti sono stati martirizzati dallo stesso re, in odio alla fede e perché loro non hanno voluto seguire le proposte sporche del re. E Paolo VI si è trovato in imbarazzo perché diceva: “Io devo beatificare gli uni e gli altri, sono martiri gli uni e gli altri”. Ma, in quel momento della Chiesa Cattolica, non era tanto possibile fare quella cosa. C’era appena stato il Concilio… Ma quella Chiesa giovane oggi celebra gli uni e gli altri insieme; anche Paolo VI nell’omelia, nel discorso, nella Messa di beatificazione ha voluto nominare i catechisti anglicani martiri della fede allo stesso livello dei catechisti cattolici. Questo lo fa una Chiesa giovane. Le Chiese giovani hanno coraggio, perché sono giovani; come tutti i giovani hanno più coraggio di noi… non tanto giovani!
E poi, la mia esperienza. Io ero molto amico degli anglicani a Buenos Aires, perché la parte di dietro della parrocchia della Merced era comunicante con la cattedrale anglicana. Ero molto amico del Vescovo Gregory Venables, molto amico. Ma c’è un’altra esperienza: nel nord dell’Argentina ci sono le missioni anglicane con gli aborigeni e le missioni cattoliche con gli aborigeni, e il Vescovo anglicano e il Vescovo cattolico di là lavorano insieme, e insegnano. E quando la gente non può andare la domenica alla celebrazione cattolica va a quella anglicana, e gli anglicani vanno alla cattolica, perché non vogliono passare la domenica senza una celebrazione; e lavorano insieme. E qui la Congregazione per la Dottrina della Fede lo sa. E fanno la carità insieme. E i due i Vescovi sono amici e le due comunità sono amiche.
Credo che questa sia una ricchezza che le nostre Chiese giovani possono portare all’Europa e alle Chiese che hanno una grande tradizione. E loro dare a noi la solidità di una tradizione molto, molto curata e molto pensata. E’ più facile, è vero, l’ecumenismo nelle Chiese giovani. E’ vero. Ma credo che - e ritorno alla seconda domanda – è forse più solido nella ricerca teologica l’ecumenismo in una Chiesa più matura, più invecchiata nella ricerca, nello studio della storia, della teologia, della liturgia, come è la Chiesa in Europa. E credo che a noi farebbe bene, ad ambedue le Chiese: da qui, dall’Europa inviare alcuni seminaristi a fare esperienze pastorali nelle Chiese giovani, si impara tanto. Loro vengono, dalle chiese giovani, a studiare a Roma, almeno i cattolici, lo sappiamo. Ma inviare loro a vedere, a imparare dalle Chiese giovani sarebbe una grande ricchezza nel senso che Lei ha detto. E’ più facile l’ecumenismo lì, è più facile, cosa che non vuol dire più superficiale, no, non è superficiale. Loro non negoziano la fede e l’identità. Quell’aborigeno ti dice nel nord Argentina: “Io sono anglicano”. Ma non c’è il vescovo, non c’è il pastore, non c’è il reverendo… “Io voglio lodare Dio la domenica e vado alla cattedrale cattolica”, e viceversa. Sono ricchezze delle Chiese giovani. Non so, questo mi viene da dirti.