«I miei anni da papa»
Corriere della Sera
(Luigi Accattoli) Le notti insonni dopo il Conclave, le lotte interne, le dimissioni. Joseph Ratzinger si racconta in un libro in uscita a settembre -- Arriva un libro di memorie di papa Benedetto: ora va in stampa e sarà nelle librerie di mezzo mondo a settembre. Titolo: Benedetto XVI. Ultime conversazioni , perché si tratterà di un libro intervista con lo scrittore tedesco Peter Seewald, che aveva già pubblicato tre volumi di dialoghi con Joseph Ratzinger: due quand’era cardinale (nel 1996 e nel 2000) e uno da Papa, nel 2010, intitolato Luce del mondo .
Dei quattro volumi questo si annuncia come il più interessante, anche più di quello che fece da Papa, perché un Papa è un Papa ma un Papa emerito è un’assoluta novità. Annunciando la pubblicazione, l’editore tedesco Droemer, che coordina l’uscita nelle diverse lingue (per l’Italia l’esclusiva è della Garzanti in libreria, del Corriere della Sera in edicola), affermava ieri giustamente che per la prima volta in duemila anni abbiamo «un Papa che traccia un bilancio del proprio Pontificato».
Anche a motivo del titolo Ultime conversazioni il volume si presenta come il testamento di Benedetto XVI: nei tre anni e mezzo che ci separano dalla «rinuncia» egli ha parlato poco e mai a cuore aperto come dicono che faccia in questo testo, rispondendo a domande non reticenti sulla stessa rinuncia al Papato, sul suo successore, sulla sua vicenda d’uomo, dalla famiglia di origine alle tempeste degli otto anni da Papa.
Dai preparativi dell’atto di «rinuncia» all’indagine sulla «lobby gay» del Vaticano, alla «sorpresa» che anche per lui ha rappresentato l’elezione del cardinale Bergoglio, sono molte le emozioni e i retroscena che qui racconta il Papa teologo che nell’aprile del prossimo anno compirà 90 anni.
Della rinuncia racconta d’averla preparata con poche persone a lui più vicine e ricorda il timore che potesse esserci una fuga di notizie che avrebbe tolto forza all’annuncio. E aveva ragione a temere, perché tante fughe di notizie e testi come sotto il suo Pontificato non c’erano mai state nel Vaticano dell’ultimo secolo.
Argomenta la scelta di comunicare in latino una decisione di tale portata precisando d’aver temuto che se avesse scelto l’italiano avrebbe potuto commettere qualche errore di lingua. Confessa i dubbi che dovette superare in dialogo con se stesso sull’incidenza che la sua scelta avrebbe potuto avere sul futuro del Papato. Ancora una volta nega ricatti o pressioni.
Racconta di come seguì da Castel Gandolfo le cronache televisive delle fumate e ammette d’aver appreso con «sorpresa» il nome del successore: aveva pensato a dei nomi ma «non a lui». E del resto così avevamo fatto anche noi giornalisti. Alla sorpresa tenne dietro la «gioia» di vedere come il nuovo Papa pregava e comunicava con la folla.
In risposta all’intervistatore, Benedetto tratta della figura umana e papale di Francesco e accenna liberamente sia a ciò che lo accomuna a lui sia a quanto lo differenzia.
Nel volume ci sono ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza nella Germania nazista di quegli anni. La scoperta della «vocazione», la prigionia alla fine della Seconda guerra mondiale in un campo americano nei pressi di Ulm. I successi e le delusioni della carriere universitaria, le pubblicazioni che ne fanno un «perito» del concilio Vaticano II. Temi dei quali aveva già narrato nel volume La mia vita che è del 1997.
Venendo ad anni più recenti rispetto a quell’autobiografia, nel nuovo volume racconta il forte legame con Giovanni Paolo II, a cui più volte chiede di essere esonerato dai suoi incarichi, e i rifiuti del Papa polacco che lo volle al suo fianco fino alla fine. C’è anche — nel libro — il pensiero della morte e la confessione di come il Papa emerito si senta debole davanti a essa e la narrazione del modo in cui si prepara.
Ci dice il sentimento di «incredulità» che sperimentò in Conclave, quando comprese che sarebbe toccato a lui. La scelta di non chiamarsi Giovanni Paolo III ma di legare il suo Pontificato a san Benedetto e a Benedetto XV, il Papa che definì la Prima guerra mondiale «inutile strage».
Veniamo a sapere della difficoltà a prendere sonno che soffrì nei primi giorni dopo l’elezione a causa dell’ansia che era su di lui.
Respinge l’idea o la critica di chi lo considera un Papa troppo accademico, concentrato sullo studio e sulla scrittura. Rifiuta di essere considerato un restauratore in ambito liturgico. Racconta qualcosa del suo tentativo di riformare lo Ior e ricorda le leggi da lui promulgate contro il riciclaggio, ragiona della piaga della pedofilia e non manca di sottolineare le difficoltà che anche un Papa incontra quando vuole intervenire sulla «sporcizia che è nella Chiesa».
Ammette di aver saputo della presenza di una «lobby gay» in Vaticano, composta da quattro/cinque persone, e afferma di esser riuscito a sciogliere quel gruppo di potere: informazione, questa, che non si era mai avuta. Ammette la sua mancanza di risolutezza nel governare. Racconta di aver preso appunti e note nel corso del Pontificato a riguardo di molte questioni, ma dice che li distruggerà anche se si rende conto che per gli storici sarebbero «un invito a nozze».
Dei quattro volumi questo si annuncia come il più interessante, anche più di quello che fece da Papa, perché un Papa è un Papa ma un Papa emerito è un’assoluta novità. Annunciando la pubblicazione, l’editore tedesco Droemer, che coordina l’uscita nelle diverse lingue (per l’Italia l’esclusiva è della Garzanti in libreria, del Corriere della Sera in edicola), affermava ieri giustamente che per la prima volta in duemila anni abbiamo «un Papa che traccia un bilancio del proprio Pontificato».
Anche a motivo del titolo Ultime conversazioni il volume si presenta come il testamento di Benedetto XVI: nei tre anni e mezzo che ci separano dalla «rinuncia» egli ha parlato poco e mai a cuore aperto come dicono che faccia in questo testo, rispondendo a domande non reticenti sulla stessa rinuncia al Papato, sul suo successore, sulla sua vicenda d’uomo, dalla famiglia di origine alle tempeste degli otto anni da Papa.
Dai preparativi dell’atto di «rinuncia» all’indagine sulla «lobby gay» del Vaticano, alla «sorpresa» che anche per lui ha rappresentato l’elezione del cardinale Bergoglio, sono molte le emozioni e i retroscena che qui racconta il Papa teologo che nell’aprile del prossimo anno compirà 90 anni.
Della rinuncia racconta d’averla preparata con poche persone a lui più vicine e ricorda il timore che potesse esserci una fuga di notizie che avrebbe tolto forza all’annuncio. E aveva ragione a temere, perché tante fughe di notizie e testi come sotto il suo Pontificato non c’erano mai state nel Vaticano dell’ultimo secolo.
Argomenta la scelta di comunicare in latino una decisione di tale portata precisando d’aver temuto che se avesse scelto l’italiano avrebbe potuto commettere qualche errore di lingua. Confessa i dubbi che dovette superare in dialogo con se stesso sull’incidenza che la sua scelta avrebbe potuto avere sul futuro del Papato. Ancora una volta nega ricatti o pressioni.
Racconta di come seguì da Castel Gandolfo le cronache televisive delle fumate e ammette d’aver appreso con «sorpresa» il nome del successore: aveva pensato a dei nomi ma «non a lui». E del resto così avevamo fatto anche noi giornalisti. Alla sorpresa tenne dietro la «gioia» di vedere come il nuovo Papa pregava e comunicava con la folla.
In risposta all’intervistatore, Benedetto tratta della figura umana e papale di Francesco e accenna liberamente sia a ciò che lo accomuna a lui sia a quanto lo differenzia.
Nel volume ci sono ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza nella Germania nazista di quegli anni. La scoperta della «vocazione», la prigionia alla fine della Seconda guerra mondiale in un campo americano nei pressi di Ulm. I successi e le delusioni della carriere universitaria, le pubblicazioni che ne fanno un «perito» del concilio Vaticano II. Temi dei quali aveva già narrato nel volume La mia vita che è del 1997.
Venendo ad anni più recenti rispetto a quell’autobiografia, nel nuovo volume racconta il forte legame con Giovanni Paolo II, a cui più volte chiede di essere esonerato dai suoi incarichi, e i rifiuti del Papa polacco che lo volle al suo fianco fino alla fine. C’è anche — nel libro — il pensiero della morte e la confessione di come il Papa emerito si senta debole davanti a essa e la narrazione del modo in cui si prepara.
Ci dice il sentimento di «incredulità» che sperimentò in Conclave, quando comprese che sarebbe toccato a lui. La scelta di non chiamarsi Giovanni Paolo III ma di legare il suo Pontificato a san Benedetto e a Benedetto XV, il Papa che definì la Prima guerra mondiale «inutile strage».
Veniamo a sapere della difficoltà a prendere sonno che soffrì nei primi giorni dopo l’elezione a causa dell’ansia che era su di lui.
Respinge l’idea o la critica di chi lo considera un Papa troppo accademico, concentrato sullo studio e sulla scrittura. Rifiuta di essere considerato un restauratore in ambito liturgico. Racconta qualcosa del suo tentativo di riformare lo Ior e ricorda le leggi da lui promulgate contro il riciclaggio, ragiona della piaga della pedofilia e non manca di sottolineare le difficoltà che anche un Papa incontra quando vuole intervenire sulla «sporcizia che è nella Chiesa».
Ammette di aver saputo della presenza di una «lobby gay» in Vaticano, composta da quattro/cinque persone, e afferma di esser riuscito a sciogliere quel gruppo di potere: informazione, questa, che non si era mai avuta. Ammette la sua mancanza di risolutezza nel governare. Racconta di aver preso appunti e note nel corso del Pontificato a riguardo di molte questioni, ma dice che li distruggerà anche se si rende conto che per gli storici sarebbero «un invito a nozze».