lunedì 25 aprile 2016

Spagna
Beatificato Valentín Palencia Marquina. Martire perché sacerdote
L'Osservatore Romano
«Ucciso perché era sacerdote». È questa la vera ragione del martirio di don Valentín Palencia Marquina (1871-1937), assassinato insieme a quattro giovani laici — Donato Rodríguez García, Germán García García, Zacarías Cuesta Campo, Emilio Huidobro Corrales — la cui unica colpa è stata quella di voler difendere la fede e condividere la sorte del loro padre, maestro e amico. È stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, a ricordare la vicenda dei cinque martiri, in occasione della loro beatificazione. Il rito, presieduto dal porporato in rappresentanza di Papa Francesco, si è svolto sabato mattina, 23 aprile, nella cattedrale di Burgos, in Spagna.
«Consapevoli del pericolo imminente, i martiri, prima del massacro — ha raccontato il cardinale — avevano pregato molto, per prepararsi alla morte con un atteggiamento mite e perdonante. Nessun atto di ribellione». Poi ha riferito un particolare sugli ultimi momenti di vita di don Valentín: riuscì anche a conservare nel taschino un’ostia consacrata, come viatico per l’incontro con il Signore.
Nella lettera apostolica per la beatificazione — ha sottolineato il porporato — Papa Francesco chiama i cinque martiri «testimoni eroici del Vangelo». Infatti, come la patria «ha bisogno di imprese gloriose, per difendere la libertà, l’indipendenza e la pace sociale dei suoi cittadini», così la Chiesa ha bisogno «di figli valorosi e arditi per mantenere nella famiglia umana l’accoglienza, il rispetto e la carità fraterna». Questo è il messaggio che scaturisce dalla beatificazione di questi cinque spagnoli vittime della guerra civile.
«La glorificazione dei martiri — ha sottolineato il prefetto — è una buona notizia per tutti. Essi hanno seminato amore, non odio». In effetti, hanno praticato «la carità verso tutti, soprattutto verso i bisognosi. Hanno trasmesso il calore della presenza di Dio anche nel cuore di coloro che li uccidevano». Per questo, la loro bontà «lenisce le ferite e risana i cuori, guarendoli dai mali dell’odio e della divisione». In questo senso, i martiri «rendono più bella e abitabile la casa dell’uomo, invitando a non ripetere il passato oscuro e sanguinoso, ma a costruire e vivere un presente luminoso e fraterno».
D’altronde, ha ricordato il cardinale, il Vangelo è «il libro della bontà e della liberazione dell’uomo da ogni male». Infatti, i gesti di Gesù «sono azioni di liberazione dal male». Per questo i martiri «all’arroganza rispondono con l’umiltà, all’egoismo con la generosità, alla vendetta col perdono, ai pensieri di morte con pensieri e gesti di vita». In questo modo essi sono «portatori di misericordia divina, che placa la violenza con la mitezza che genera concordia».
Ancora oggi, ha fatto notare il porporato, i martiri «sono gli agnelli che vincono i lupi. È questa la rivelazione dell’amore cristiano». Ed è proprio per questo che l’umanità ha quanto mai bisogno oggi di questo «straordinario spettacolo di fraternità, di gioia, di rispetto, di accoglienza».
Il cardinale ha poi citato le parole di Paul Bhatti, pakistano cattolico, fratello di Shabhaz Bhatti, ucciso a Islamabad il 2 marzo 2011 perché cristiano: «Noi cristiani del Pakistan — ha affermato — non lasceremo che le prove e le difficoltà rubino la speranza che è fondata sull’amore di Gesù e sulla fede dei martiri, ma continueremo a testimoniare il Vangelo della mitezza, del dialogo, dell’amore». È questa la fede cristiana, ha aggiunto, «e per questa fede noi vogliamo vivere e, se necessario, anche morire come mio fratello Shabhaz».

L'Osservatore Romano, 26 aprile 2016