sabato 13 aprile 2013

(a cura Redazione "Il sismografo")  
Perché la Chiesa non è una organizzazione
L'Osservatore Romano
(24 aprile 2013)

La Chiesa è una storia d’amore e noi ne facciamo parte. Ma proprio per questo, quando si dà troppa importanza all’organizzazione, quando uffici e burocrazia assumono una dimensione preponderante, la Chiesa perde la sua vera sostanza e rischia di trasformarsi in una semplice organizzazione non governativa. La storia d’amore cui Papa Francesco si è riferito durante la messa celebrata mercoledì mattina, 24 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Martahe, è quella propria della maternità della Chiesa. Una maternità, ha detto, che cresce e si diffonde nel tempo «e che ancora non è finita», spinta com’è non da forze umane ma «dalla forza dello Spirito Santo».

Intorno all’altare con il Papa c’erano, tra gli altri, il cardinale Javier Lozano Barragán, monsignor Dominique Rey, vescovo di Fréjus-Toulon, e monsignor Luigi Renzo, vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea. A partecipare alla messa una rappresentanza del personale dell’Istituto per le Opere di Religione.
Come di consueto il Pontefice ha commentato le letture del giorno, tratte dagli Atti degli apostoli (12, 24-13, 5) e dal vangelo di Giovanni (12, 44-50). «La prima lettura — ha notato — incomincia con queste parole: “In quei giorni, la Parola di Dio cresceva e si diffondeva”. È proprio l’inizio della Chiesa, quando cresce e va dappertutto, in tutto il mondo». Un fatto che, ha spiegato, qualcuno potrebbe valutare in termini meramente quantitativi, compiacendosi perché in questo modo si fanno più «proseliti» e si riuniscono più «soci» per l’impresa. Anzi, si arriva persino a fare «patti per crescere».
Invece «la strada che Gesù ha voluto per la sua Chiesa — ha detto il Pontefice — è un’altra: è la strada delle difficoltà, la strada della croce, la strada delle persecuzioni». E anche questo ci fa pensare: «Ma cosa è questa Chiesa? questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana, ma un’altra cosa». La risposta è ancora una volta nel Vangelo, nel quale Gesù «ci dice una cosa che forse può illuminare questa domanda: “Chi crede in me, non crede in me ma crede in Colui che mi ha mandato”». Anche Cristo, ha spiegato, è stato «mandato, è inviato di un altro!». Dunque quando indica il programma di vita, il modo di vivere ai dodici apostoli, lo fa «non da se stesso» ma «da Colui che lo ha mandato».
È l’inizio della Chiesa, che — ha proseguito il Papa — «incomincia là, nel cuore del Padre, che ha avuto questa idea. Non so se ha avuto un’idea: il Padre ha avuto amore. E ha incominciato questa storia di amore, questa storia di amore tanto lunga nei tempi e che ancora non è finita. Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo a una storia d’amore. Ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa. È una storia d’amore».
Del resto, ha ricordato il Ponteficie, lo dice Gesù stesso: «Il più grande comandamento è questo: l’amore». In esso si ritrovano la Chiesa, la Legge, i profeti. «Ma — ha aggiunto — la Chiesa non cresce con la forza umana». Anzi «alcuni cristiani hanno sbagliato, per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada; hanno fatto eserciti; hanno fatto guerre di religione. Ma quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore».
Ma allora, si è chiesto, come cresce la Chiesa? «Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme della senape, come il lievito nella farina, senza rumore. La Chiesa cresce — per dire — cresce dal basso, lentamente». E quando si vanta «della sua quantità», dell’organizzazione e degli uffici e «diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong. È una storia d’amore».
Poi, rivolgendosi ai presenti, ha spiegato: «Tutto è necessario, gli uffici sono necessari», ma «sono necessari fino ad un certo punto», cioè «come aiuto a questa storia d’amore». Quando invece «l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada».
«Ma come si fa questa crescita della Chiesa?» è tornato a chiedere. «Non con i militari, come quel capo di Stato che ha chiesto quanti eserciti ha il Papa» ha risposto. La Chiesa, ha ripetuto, non cresce per il suo esercito: la sua forza «è lo Spirito, lo Spirito Santo, l’amore. Proprio il Padre invia il Figlio e il Figlio ci dà la forza dello Spirito Santo per crescere, per andare avanti».
Dunque la Chiesa non è un’organizzazione, ma «è madre». E notando la presenza alla messa di tante mamme, Papa Francesco si è rivolto a loro direttamente e ha chiesto: «Che sentite voi, se qualcuno dice: “Ma lei è un’organizzatrice della sua casa”?», anticipando la loro ovvia risposta: «“No: io sono la mamma!”. E la Chiesa è madre». E noi, con la forza dello Spirito, «tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è la nostra madre. Così si può spiegare questa prima lettura: “La Parola di Dio cresceva e si diffondeva”. Cresce così. Lì si spiega quello che dice Gesù: “Chi crede in me, non crede in me ma in Colui che mi ha mandato”. Il Padre che ha incominciato questa storia d’amore».
«Chiediamo alla Madonna, che è Madre — ha concluso — che ci dia la grazia della gioia, della gioia spirituale di camminare in questa storia d’amore».

Cristo è la porta del Regno L'Osservatore Romano (22 aprile 2013)
Arrampicatori, ladri o briganti sono quelli che tentano di entrare da un’altra via. C’è solo una porta per entrare nel Regno di Dio. E quella porta è Gesù. Chiunque tenti di entrarvi attraverso un’altra via è «un ladro» o «un brigante»; oppure è «un arrampicatore che pensa solo al suo vantaggio», alla sua gloria, e ruba la gloria a Dio. Papa Francesco, durante la messa celebrata questa mattina, lunedì 22 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae, è tornato a proporre Gesù come centro della vicenda umana e a ricordare che la nostra non è una religione «da negozio». Ad ascoltarlo c’erano un gruppo di tecnici della Radio Vaticana e il personale della Sala Stampa della Santa Sede accompagnato dai padri Federico Lombardi e Ciro Benedettini, rispettivamente direttore e vicedirettore, che hanno concelebrato, e da Angelo Scelzo, vicedirettore per gli accrediti giornalistici.
Commentando le letture della liturgia del giorno, tratte dagli Atti degli apostoli (11, 1-18) e dal vangelo di Giovanni (10, 1-10), il Pontefice ha ricordato che in esse «viene ripetuto il verbo “entrare”. Prima, quando Pietro viene a Gerusalemme è rimproverato: “Sei entrato in casa dei pagani”. Poi, Pietro racconta la storia, racconta come lui è entrato. E Gesù è molto esplicito, in questo: “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, non è il pastore”». Per entrare nel regno di Dio, nella comunità cristiana, nella Chiesa, «la porta — ha spiegato il Papa — la vera porta, l’unica porta è Gesù. Noi dobbiamo entrare da quella porta. E Gesù è esplicito: “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta — che Lui dice ‘sono io’ — ma vi sale dall’altra parte, è un ladro o un brigante”, uno che vuole fare profitto per se stesso».
Questo, ha notato, accade «anche nelle comunità cristiane. Ci sono questi arrampicatori, no?, che cercano il loro. E coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare; ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria. E questo è quello che Gesù diceva ai farisei: “Voi girate la gloria uno all’altro...”. Una religione un po’ da negozio, no? “Io do la gloria a te e tu dai la gloria a me”. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù, e chi non entra da questa porta si sbaglia».
Ma come capire che la porta vera è Gesù? «Prendi le Beatitudini e fa quello che dicono le Beatitudini» è stata la risposta del Pontefice. In questo modo «sei umile, sei povero, sei mite, sei giusto»; e quando qualcuno fa un’altra proposta, «non ascoltarla: la porta sempre è Gesù e chi entra da quella porta non si sbaglia». Gesù «non solo è la porta: è il cammino, è la strada. Ci sono tanti sentieri, forse più vantaggiosi per arrivare», ma sono ingannevoli «non sono veri: sono falsi. Soltanto Gesù è la strada. Qualcuno di voi dirà: “Padre, lei è fondamentalista?!”. No. Semplicemente questo ha detto Gesù: “Io sono la porta”, “io sono il cammino” per darci la vita. Semplicemente. È una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ma con tenerezza, con amore.»
Purtroppo, ha notato il Santo Padre, l’uomo continua a essere tentato ancora oggi da ciò che è stato all’origine il peccato originale, cioè dalla «voglia di avere la chiave di interpretazione di tutto, la chiave e il potere di fare la nostra strada, qualsiasi essa sia, di trovare la nostra porta, qualsiasi essa sia. E quella è la prima tentazione: “Conoscerai tutto”. A volte abbiamo la tentazione di voler essere troppo padroni di noi stessi e non umili figli e servi del Signore. E questa è la tentazione di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel regno di Dio». Dove invece «si entra soltanto da quella porta che si chiama Gesù», da quella porta che ci conduce su «una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa — dice il Signore — che salgono per entrare dalla finestra, sono “ladri e briganti”. È semplice, il Signore. Non parla difficile: lui è semplice».
In conclusione il Papa ha invitato i presenti a pregare per ottenere «la grazia di bussare sempre a quella porta» che a volte è chiusa; noi siamo tristi, desolati e «abbiamo problemi a bussare, a bussare a quella porta». Il Pontefice ha invitato a pregare proprio per trovare la forza per «non andare a cercare altre porte che sembrano più facili, più confortevoli, più alla portata di mano», e andare invece a cercare «sempre quella: Gesù. E Gesù non delude mai, Gesù non inganna, Gesù non è un ladro, non è un brigante. Ha dato la sua vita per me. Ciascuno di noi deve dire questo: “Tu che hai dato la vita per me, per favore, apri, perché io possa entrare”. Chiediamo questa grazia. Bussare sempre a quella porta e dire al Signore: “Apri, Signore, ché voglio entrare per questa porta. Voglio entrare da questa porta, non da quell’altra”».

I cristiani “satelliti” non fanno crescere la Chiesa
L'Osservatore Romano
(20 aprile 2013)

Per non cedere alla tentazione dello scandalo. Una Chiesa fatta da cristiani liberi dalla tentazione di mormorare contro Gesù «troppo esigente», ma soprattutto liberi «dalla tentazione dello scandalo», è una Chiesa che si consolida, cammina e cresce sulla strada indicata da Gesù. È per questa Chiesa che, sabato mattina, 20 aprile, Papa Francesco ha chiesto di pregare durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Erano presenti una ventina di volontari che lavorano nel dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano e numerose famiglie. Tra i concelebranti monsignor Antonius Lambertus Maria Hurkmans, vescovo di ’s-Hertogenbosch, e il suo ausiliare e vicario generale monsignor Robertus Gerardus Leonia Maria Mutsaerts.
L’esortazione del Pontefice è stata la conclusione della riflessione sulle letture della liturgia del giorno proposta all’omelia. «Il brano del libro degli Atti degli apostoli [9, 31-42] — ha esordito — ci racconta una scena della Chiesa, che era in pace. Era in pace in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria. Un momento di pace. E dice anche questo: “Si consolidava, camminava e cresceva”». Si trattava di una Chiesa che aveva subito la persecuzione ma che in quel periodo si rafforzava, andava avanti e cresceva. Papa Francesco ha puntualizzato che è proprio questa la vita della Chiesa, che «deve andare così: consolidarsi, camminare e crescere». E perché ciò sia possibile, «dobbiamo fare patti, dobbiamo fare negoziati, dobbiamo fare tante cose, no?».
Ma — si è chiesto il Pontefice — come si consolida, cammina e cresce? «Nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito Santo» è stata la sua risposta. Questo è l’ambito in cui si muove la Chiesa, l’aria che respira «camminando nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito Santo». E questo è proprio ciò che «Dio all’inizio aveva chiesto al nostro padre Abramo: “Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile”. È uno stile della Chiesa. Camminare nel timore del Signore. È un po’ il senso dell’adorazione, la presenza di Dio, no? La Chiesa cammina così e quando siamo in presenza di Dio non facciamo cose brutte né prendiamo decisioni brutte. Siamo davanti a Dio. Anche con la gioia e la felicità. Questo è il conforto dello Spirito Santo, cioè il dono che il Signore ci ha dato. Questo conforto ci fa andare avanti».
Il Papa ha poi fatto riferimento al vangelo di Giovanni (6, 60-69) nel quale si leggono espressioni particolari sorrette da due verbi: mormorare e scandalizzare. «Molti dei discepoli di Gesù — ha notato — cominciarono a mormorare e a scandalizzarsi. Mormorare e scandalizzare». Alcuni si sono allontanati dicendo: «“Quest’uomo è un po’ speciale; dice delle cose che sono dure e noi non possiamo... È un rischio troppo grande andare su questa strada. Abbiamo buon senso, eh? Andiamo un po’ indietro e non tanto vicino a lui”. Costoro, forse, avevano una certa ammirazione per Gesù, ma un po’ da lontano: non immischiarsi troppo con questo uomo, perché dice delle cose un po’ strane. Costoro non si consolidano nella Chiesa, non camminano alla presenza di Dio, non hanno il conforto dello Spirito Santo, non fanno crescere la Chiesa. Sono cristiani soltanto di buon senso: prendono le distanze. Cristiani, per così dire, satelliti, che hanno una piccola Chiesa, a propria misura. Per dirlo con le parole proprie di Gesù nell’Apocalisse, cristiani tiepidi».
La tiepidezza che viene nella Chiesa è quella di chi cammina soltanto seguendo il proprio buon senso, che spesso coincide con il senso comune. Sono coloro che camminano con una prudenza che il Papa non ha esitato a definire «prudenza mondana», una tentazione per molti. «Penso — ha aggiunto il Pontefice — a tanti dei nostri fratelli e sorelle che in questo momento, proprio in questo momento, danno testimonianza del nome di Gesù, anche fino al martirio. Questi non sono cristiani satelliti: questi vanno con Gesù, sulla strada di Gesù. Questi sanno perfettamente quello che Pietro dice al Signore, quando il Signore gli fa la domanda: “Anche voi volete andare, essere cristiani satelliti?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Così da un gruppo grande, diventa un gruppo un po’ più piccolo, ma di quelli che sanno perfettamente che non possono andare da un’altra parte, perché soltanto Lui, il Signore, ha parole di vita eterna».
Andare con Gesù, dunque, senza timore sulla strada da lui indicata. È l’invito di Papa Francesco che al termine dell’omelia ha chiesto di pregare durante la messa «per la Chiesa, perché continui a crescere, a consolidarsi, a camminare nel timore di Dio e con il conforto dello Spirito Santo. Che il Signore ci liberi dalla tentazione di quel “buon senso”; dalla tentazione di mormorare contro Gesù, perché è troppo esigente; e dalla tentazione dello scandalo».

Una Chiesa libera dall’ideologia
L'Osservatore Romano
(19 aprile 2013)

L’ideologia falsifica il Vangelo e insidia anche la Chiesa. Per questo Papa Francesco, durante la celebrazione della messa di questa mattina, venerdì 19 aprile, ha chiesto di pregare «perché il Signore liberi la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica». Intorno all’altare della cappella della Domus Sanctae Marthae, a pregare con il Papa c’erano un gruppo di dipendenti dell’Osservatore Romano e della Tipografia Vaticana, con il capo redattore, il vicedirettore e il direttore del nostro giornale. Tra i concelebranti, don Marek Kaczmarczyk, direttore commerciale della Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano.
Nel commentare le letture del giorno — la prima tratta dagli Atti degli apostoli (9, 1-20) e la seconda dal Vangelo di Giovanni (6, 52-59) — Papa Francesco ha proposto una riflessione sulla voce di Gesù, interpretata da alcuni «con il cuore» e da altri «con la testa». E ha messo in guardia proprio da chi, anche oggi, interpreta le parole di Gesù «con la testa» e non con il cuore: quegli «ideologi» che pretendono di interpretare quanto dice il Signore secondo le ideologie dominanti e finiscono per falsare il Vangelo.
«Gesù — ha iniziato il suo racconto il Pontefice — parla. Gesù parla a Paolo, Gesù parla ad Ananìa, e Gesù parla anche ai dottori della legge. È la voce di Gesù che dice a Paolo “Perché mi perseguiti?”. È la voce di Gesù che va da Ananìa e gli dice: “Va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale Paolo”. È la voce di Gesù che parla al popolo e anche ai dottori della legge, e dice che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non sarà salvato».
La voce di Gesù «ci dice qualcosa e va proprio al nostro cuore. Passa per la nostra mente e va al cuore. Perché Gesù cerca la nostra conversione». Ed ecco le risposte alla voce del Signore narrate dalle letture: «Paolo: “Chi sei, o Signore?”. Ananìa dice: “Ma … Signore, riguardo a quest’uomo, è stato udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli”, e con umiltà racconta al Signore il curriculum vitae di Paolo. Gli altri, i dottori, rispondono in altra maniera: con la discussione tra loro. Arrivano a dirgli: “Ma tu sei pazzo!”, e fra loro dicono: “Ma come un uomo può dare da mangiare la sua carne?”».
A partire da queste espressioni, il Pontefice ha spiegato la diversità delle risposte: «I due primi, Paolo e Ananìa, rispondono come i grandi della storia della salvezza, come Geremia, Isaia. Anche Mosé ha avuto le sue difficoltà: “Ma, Signore, io non so parlare, come andrò dagli egiziani a dire questo?”. E anche Maria: “Ma, Signore, io non sono sposata!”. Sono le risposte dell’umiltà, di chi accoglie la Parola di Dio con il cuore».
Invece «i dottori rispondono soltanto con la testa. Non sanno che la Parola di Dio va al cuore, non sanno di conversione. Sono “scientifici”. Sono i grandi ideologi», quelli che non capiscono che la parola di Gesù è diretta al cuore «perché è parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare». Chi non coglie questa caratteristica preclude la strada all’amore e anche alla bellezza.
Gli «ideologi», ha spiegato il vescovo di Roma, sono quelli che nel racconto evangelico si mettono a «discutere aspramente tra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa — ha detto a questo punto il Papa — quando entra l’ideologia nell’intelligenza, del Vangelo non si capisce nulla». Così tutto viene interpretato nel senso del dovere piuttosto che nel senso di quella conversione alla quale «ci invita Gesù». E quanti seguono la strada del dovere, «caricano tutto sulle spalle dei fedeli».
«Gli ideologi falsificano il Vangelo» ha sentenziato il Papa, aggiungendo: «Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga, da una parte o dall’altra è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi — l’abbiamo visto nella storia della Chiesa — finiscono per essere intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla». Invece «la strada dell’amore, la strada del Vangelo è semplice: è quella strada che hanno capito i santi! I santi sono quelli che portano la Chiesa avanti», quelli che seguono «la strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza».
«Preghiamo oggi il Signore — ha concluso il Pontefice — per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, di porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli a noi con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa».

Messa del Papa a Santa Marta. Dio è persona
L'Osservatore Romano
(18 aprile 2013)
Parlare con Dio è come parlare con delle persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Perché questo è il nostro Dio, uno e trino; non un dio indefinito e diffuso, come uno spray sparso un po’ ovunque. È questo il senso della riflessione proposta da Papa Francesco nell’omelia pronunciata durante la messa celebrata questa mattina, giovedì 18 aprile, nella Domus Sanctae Marthae, alla quale hanno partecipato dirigenti e agenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano.
Con il Pontefice hanno concelebrato, tra gli altri, l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato; i vescovi Charles Scicluna, ausiliare di Malta, e Flavio Roberto Carraro, emerito di Verona; i monsignori José Bettencourt, capo del protocollo della Segreteria di Stato, Assunto Scotti, capo ufficio della prima sezione della Segreteria di Stato, e Giuseppe Saia, coordinatore nazionale dei cappellani della Polizia di Stato italiana. Il rito è stato diretto da monsignor Guillermo Javier Karcher, cerimoniere pontificio. Tra le personalità presenti, i prefetti Alessandro Marangoni, vicecapo della Polizia con funzioni vicarie, e Salvatore Festa, direttore dell’ufficio di collegamento tra le autorità vaticane e il ministero dell’Interno italiano, ed Enrico Avola, dirigente dell’Ispettorato di pubblica sicurezza presso il Vaticano.
È il Signore che «ci parla della fede» ha esordito il Papa all’omelia. Egli ci dice di «credere in lui. Ma prima ci dice anche un’altra cosa: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono del Padre. È un dono. La fede è un dono. Un dono che abbiamo ricevuto nel battesimo ma che poi deve svilupparsi nella vita, svilupparsi nel cuore, svilupparsi nelle opere che facciamo. La fede è un dono, e chi ha questa fede ha la vita eterna. Possiamo domandarci: “Abbiamo fede?”. “Sì, sì: io credo in Dio”. “Ma in quale Dio tu credi?”. “Mah, in Dio!”. Quante volte sentiamo questo “in Dio”. Un dio diffuso, un dio-spray, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in persone, e quando parliamo con Dio parliamo con persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede».
Riferendosi poi alla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (8, 26-40), il Papa si è soffermato sulla figura dell’eunuco etiope tesoriere della regina Candace, il quale aveva una fede ancora poco matura e salda, una «fede all’inizio». Però «aveva buona volontà. Era venuto a Gerusalemme a pregare, ad adorare Dio, e leggeva il profeta Isaia. Aveva una certa inquietudine nell’anima. L’aveva messa il Padre per attirarlo a Gesù. E quest’uomo, quando Filippo si avvicina a lui e gli domanda: “Ma tu capisci quello che leggi?”, gli risponde di no. E quando Filippo gli annuncia Gesù, quest’uomo sente che quella è una buona notizia. Sente gioia. Incomincia a sentire una gioia speciale. E tanta era la gioia che quando vede l’acqua dice: “Battezzami adesso! Io voglio seguire Gesù!”».
Questa, ha sottolineato Papa Francesco, è una cosa che ci deve far riflettere: «Pensiamo: non era un uomo di strada, un uomo comune. Era un ministro dell’economia, eh! Possiamo pensare che sia stato un po’ attaccato ai soldi. Possiamo pensare anche che fosse un carrierista perché aveva rinunciato alla paternità per la sua carriera, no? Ma tutto questo crolla davanti a quell’invito del Padre a incontrare Gesù. Questa è la fede. E poi Gesù ci dice come è la sua strada, ci insegna gli atteggiamenti di quelli che lo seguono: nelle beatitudini, poi nell’atteggiamento nostro. “Per seguire me, queste sono le cose da fare: le beatitudini”». Alle quali si aggiungono gli atteggiamenti descritti nel «capitolo 25 di Matteo, a proposito del Giudizio finale: “Ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai offerto l’acqua, sono stato ammalato e mi hai visitato” (cfr. Matteo 25, 31-46). Sono gli atteggiamenti dei discepoli di Gesù. Chi ha la fede ha la vita eterna, ha la vita. Ma la fede è un dono, è il Padre che ce la dà. Noi dobbiamo continuare questo cammino».
Potrebbe capitare anche a noi, ha notato il Pontefice, di percorrere quella strada mentre siamo assorti nei nostri pensieri. Del resto, «peccatori siamo tutti e abbiamo sempre alcune cose che non vanno», nonostante il Signore ci perdoni «se gli chiediamo perdono: e avanti sempre, senza scoraggiarci!». È possibile dunque che su quella strada ci succeda la stessa cosa capitata al tesoriere etiope. Una volta risaliti dall’acqua dopo il battesimo — ha raccontato Papa Francesco — lo Spirito del Signore rapì Filippo ed egli «non lo vide più. E pieno di gioia proseguì la sua strada».
Era la gioia della fede, «la gioia di aver incontrato Gesù, la gioia che soltanto ci dà Gesù, la gioia che dà pace: non quella che dà il mondo, quella che dà Gesù. Questa è la nostra fede», quella che ci «fa forti, ci fa gioiosi», e si alimenta sempre nella vita «con i piccoli incontri quotidiani con Gesù».
A conclusione della messa, dopo la preghiera a san Michele arcangelo, patrono della Polizia di Stato, il Papa ha voluto ringraziare tutti i presenti «per il servizio che svolgete nella società. Un servizio difficile; un servizio per il bene comune, per la pace comune. Un servizio che è pericoloso, anche, per la vita. Un servizio che — come abbiamo chiesto a san Michele arcangelo — vuole rettitudine della mente, vigore del volere, onestà per gli affetti, serenità. Grazie tante per questo servizio. Il Signore vi benedica tanto».

La Chiesa non è una babysitter
L'Osservatore Romano
(17 aprile 2013)

La Chiesa non deve essere come «una babysitter che cura il bambino per farlo addormentare». Se così fosse sarebbe una «Chiesa sopita». Chi ha conosciuto Gesù ha la forza e il coraggio di annunciarlo. Allo stesso modo, chi ha ricevuto il battesimo ha la forza di camminare, di andare avanti, di evangelizzare. E «quando facciamo questo la Chiesa diventa una madre che genera figli» capaci di portare Cristo nel mondo. È questa in sintesi la riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, mercoledì 17 aprile, durante la celebrazione della messa nella cappella della Domus Sanctae Marthae, alla quale hanno assistito numerosi dipendenti dell’Istituto per le Opere di Religione. Tra i concelebranti i monsignori Vincenzo Pisanello, vescovo di Oria, e Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario del patriarca di Gerusalemme dei latini per Israele.
Durante l’omelia il Pontefice — commentando la prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (8, 1-8) — ha ricordato che «dopo il martirio di Stefano, scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme. Abbiamo letto nel libro degli Atti che la Chiesa era tutta tranquilla, tutta in pace, la carità tra loro, le vedove erano curate. Ma poi arriva la persecuzione. Questo è un po’ lo stile della vita della Chiesa: fra la pace della carità e la persecuzione». E ciò accade perché questo, ha spiegato, è stata la vita di Gesù. In seguito alla persecuzione, ha proseguito il Pontefice, tutti fuggirono tranne gli apostoli. I cristiani invece «sono andati. Soli. Senza prete. Senza vescovi: soli. I vescovi, gli apostoli, erano a Gerusalemme a fare un po’ di resistenza a queste persecuzioni». Tuttavia quelli che erano fuggiti «andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola». Proprio su costoro il Papa ha voluto focalizzare l’attenzione dei partecipanti. Essi «hanno lasciato la casa, hanno portato con sé forse poche cose; non avevano sicurezza, ma andarono di luogo in luogo annunciando la Parola. Portavano con sé la ricchezza che avevano: la fede. Quella ricchezza che il Signore aveva dato loro. Erano semplici fedeli, appena battezzati da un anno o poco più, forse. Ma avevano quel coraggio di andare ad annunziare. Ed erano creduti! E facevano anche miracoli! “Molti indemoniati espellevano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti”». E alla fine: «“Vi fu grande gioia in quella città!”. Era andato anche Filippo. Questi cristiani — cristiani da poco tempo — hanno avuto la forza, il coraggio di annunciare Gesù. Lo annunziavano con le parole, ma anche con la loro vita. Suscitavano curiosità: “Ma… chi sono questi?”. E loro lo dicevano: “Abbiamo conosciuto Gesù, abbiamo trovato Gesù, e lo portiamo”. Avevano soltanto la forza del battesimo. E il battesimo dava loro questo coraggio apostolico, la forza dello Spirito».
La riflessione del Papa si è quindi spostata sull’uomo di oggi: «Io penso a noi, battezzati, se abbiamo questa forza. E penso: “Ma noi, crediamo in questo? Che il battesimo sia sufficiente per evangelizzare? O speriamo che il prete dica, che il vescovo dica… E noi?”». Troppo spesso, ha notato il Pontefice, la grazia del battesimo è lasciata un po’ in disparte e noi ci rinchiudiamo nei nostri pensieri, nelle nostre cose. «A volte pensiamo: “No, noi siamo cristiani: abbiamo ricevuto il battesimo, abbiamo fatto la cresima, la prima comunione… e così la carta d’identità è a posto. E adesso, dormiamo tranquilli: siamo cristiani”. Ma dov’è questa forza dello Spirito che ti porta avanti?» si è domandato il Papa. «Siamo fedeli allo Spirito per annunciare Gesù con la nostra vita, con la nostra testimonianza e con le nostre parole? Quando facciamo questo, la Chiesa diventa una Chiesa Madre che genera figli» figli della Chiesa che testimoniano Gesù e la forza dello Spirito. «Ma — è stato il monito del Papa — quando non lo facciamo, la Chiesa diventa non madre, ma Chiesa babysitter, che cura il bambino per farlo addormentare. È una Chiesa sopita. Pensiamo al nostro battesimo, alla responsabilità del nostro battesimo».
E per rafforzare il concetto espresso Papa Francesco ha ricordato un episodio accaduto in Giappone nei primi decenni del Seicento, quando i missionari cattolici furono cacciati dal Paese e le comunità rimasero oltre due secoli senza preti. Senza. Quando poi tornarono i missionari trovarono una comunità viva nella quale tutti erano battezzati, catechizzati, sposati in chiesa! E persino quanti erano morti avevano ricevuto una sepoltura cristiana. «Ma — ha proseguito il Papa — non c’è prete! Chi aveva fatto questo? I battezzati!». Ecco la grande responsabilità dei battezzati: «Annunciare Cristo, portare avanti la Chiesa, questa maternità feconda della Chiesa. Essere cristiano non è fare una carriera in uno studio per diventare un avvocato o un medico cristiano; no. Essere cristiano è un dono che ci fa andare avanti con la forza dello Spirito nell’annuncio di Gesù Cristo». Infine il Papa ha rivolto il suo pensiero alla Madonna la quale ha sempre accompagnato i cristiani con la preghiera quando erano perseguitati o dispersi. «Pregava tanto. Ma anche li animava: “Andate, fate…!”».
«Chiediamo al Signore — ha concluso — la grazia di diventare battezzati coraggiosi e sicuri che lo Spirito che abbiamo in noi, ricevuto dal battesimo, ci spinge sempre ad annunciare Gesù Cristo con la nostra vita, con la nostra testimonianza e anche con le nostre parole».

Papa Francesco: Lo Spirito non si addomestica
L'Osservatore Romano
(16 aprile 2013)
Papa Francesco offre la messa celebrata a Santa Marta per Benedetto XVI che compie ottantasei anni. In preghiera per le vittime dell’attentato a Boston.
«Oggi è il compleanno di Benedetto XVI. Offriamo la messa per lui, perché il Signore sia con lui, lo conforti e gli dia molta consolazione». All’inizio della celebrazione eucaristica presieduta martedì 16 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae, il primo pensiero di Papa Francesco è stato per il suo predecessore che ha compiuto ottantasei anni. Durante la messa sono poi state ricordate le vittime dell’attentato di Boston. Mentre l’omelia ha offerto al Pontefice lo spunto per un monito a quanti si lasciano sedurre dalla tentazione di opporre resistenza allo Spirito Santo. «Lo Spirito — ha sottolineato con dolce fermezza — non si addomestica».Il Santo Padre si è riferito al concilio Vaticano II, che — ha detto — «è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo», realizzando quello che lo Spirito voleva. E si è chiesto se «dopo cinquant’anni abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel concilio», in continuità con quella «crescita della Chiesa che è stato il concilio».
«No» è stata la sua risposta. «Festeggiamo questo anniversario» — ha spiegato — quasi erigendo «un monumento» al concilio, ma ci preoccupiamo soprattutto «che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare». Anzi, ce n’è «di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama “essere testardi”, questo si chiama voler “addomesticare lo Spirito Santo”, questo si chiama diventare “stolti e lenti di cuore”».
Il Papa ha preso spunto dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (7, 51- 8, 1a ). «Le parole di Stefano — ha esordito — sono forti: “Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori”. I profeti “li avete uccisi”, poi avete fatto loro una bella tomba, un monumento, no? — non so se si dice proprio così — e poi li avete venerati, ma dopo averli uccisi. Ecco si manifesta quella resistenza allo Spirito Santo. Anche lo stesso Gesù, un po’ più soavemente, lo dice, con più mitezza, ai discepoli di Emmaus: “Stolti e lenti di cuore, a credere tutto quello che hanno annunciato i profeti!”».
Anche tra noi, ha aggiunto il Pontefice, si manifesta quella resistenza allo Spirito Santo. Anzi, «per dirlo chiaramente, lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché — ha spiegato — ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella trasfigurazione: “Ah, che bello stare così, tutti insieme!” Ma che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca. Vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E questo non va. Perché lui è Dio e lui è quel vento che va e viene, e tu non sai da dove. È la forza di Dio; è quello che ci da la consolazione e la forza per andare avanti. Ma andare avanti! E questo dà fastidio. La comodità è più bella. Voi potreste dire: “Ma, padre, questo accadeva in quei tempi. Adesso siamo tutti contenti con lo Spirito Santo”. No, non è vero! Questa tentazione ancora è di oggi», come dimostra appunto l’esperienza della recezione del Vaticano II.
«Anche nella nostra vita personale, nella vita privata — ha proseguito il Papa — succede lo stesso: lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica, e noi: “Ma no, va così, Signore...”». Da qui l’esortazione conclusiva: «Non opporre resistenza allo Spirito Santo». Perché «è lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio! Non opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore; la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità, quella santità tanto bella della Chiesa. La grazia della docilità allo Spirito Santo».
Alla celebrazione hanno partecipato, fra gli altri, i componenti della presidenza e di diversi uffici centrali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano — guidati dal cardinale presidente Giuseppe Bertello e dal vescovo segretario generale Giuseppe Sciacca, che hanno concelebrato — insieme alla direzione della Ragioneria dello Stato, con il direttore Antonio Chiminello. Tra i concelebranti anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, ricevuto ieri in udienza dal Pontefice.

La calunnia uccide
L'Osservatore Romano
(15 aprile 2013)

La calunnia distrugge l’opera di Dio, perché nasce dall’odio. Essa è figlia del «padre della menzogna» e vuole annientare l’uomo, allontanandolo da Dio. Se la calunnia è un venticello, come canta Basilio nel Barbiere di Siviglia, per Papa Francesco essa è un forte vento. Lo ha detto lunedì mattina, 15 aprile, durante la consueta messa, celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra i presenti, dipendenti e responsabili dei Servizi telefoni e Servizio internet del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, con padre Fernando Vérgez Alzaga, direttore della Direzione delle Telecomunicazioni del Governatorato, che ha concelebrato, e alcuni familiari del cardinale argentino Eduardo Francisco Pironio, di cui è appena trascorso il quindicennio dalla morte.
La calunnia è antica quanto il mondo e se ne trovano riferimenti già nell’Antico Testamento. Basti pensare all’episodio della regina Jezabel con la vigna di Naabot, o a quello di Susanna con i due giudici. Quando non si poteva ottenere qualcosa «per una strada giusta, una strada santa», si utilizzava la calunnia, che distrugge. E «questo — ha commentato il Papa — ci fa pensare: noi tutti siamo peccatori, tutti. Abbiamo peccati. Ma la calunnia è un’altra cosa». È un peccato, ma è anche qualcosa di più, perché «vuole distruggere l’opera di Dio e nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana». Menzogna e calunnia vanno di pari passo, perché hanno bisogno l’una dell’altra per andare avanti. E senza dubbio, ha aggiunto il Pontefice, «dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui». Papa Francesco ha poi preso spunto dal salmo 118 letto nella liturgia del giorno, per spiegare lo stato d’animo del giusto calunniato: «Anche se i potenti siedono e mi calunniano, il tuo servo medita i tuoi decreti. I tuoi insegnamenti sono la mia delizia». Il giusto, in questo caso è Stefano, il protomartire, a cui faceva riferimento la prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli. Stefano «guarda il Signore e obbedisce alla legge». Egli è il primo di una lunga serie di testimoni di Cristo che hanno costellato la Storia della Chiesa. Non solo nel passato, ma anche ai nostri giorni ci sono molti martiri. «Qui a Roma — ha aggiunto il Santo Padre — abbiamo tante testimonianze di martiri, cominciando da Pietro. Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli».
La Chiesa, infatti, «ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede». Alcuni vengono uccisi perché «insegnano il catechismo», altri perché «portano la croce». La calunnia trova spazio in tanti Paesi, dove i cristiani vengono perseguitati. «Sono fratelli e sorelle nostri — ha sottolineato — che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri. Dobbiamo pensare a questo». Il Pontefice ha poi fatto notare che la nostra epoca è caratterizzata da «più martiri che non quella dei primi secoli. Perseguitati per l’odio: è proprio il demonio che semina l’odio in quelli che compiono le persecuzioni».
Parlando ancora di santo Stefano, il Papa ha ricordato che era uno dei diaconi ordinati dagli apostoli. «Si mostra pieno di grazia e di potenza — ha aggiunto — e faceva grandi prodigi, grandi segni tra il popolo, e portava avanti il Vangelo. Allora, alcuni incominciarono a discutere con lui su Gesù: se Gesù era il messia o no». Quella discussione però divenne impetuosa e quanti «discutevano con lui non riuscivano a resistere alla sua potenza, alla sua saggezza, alla sua scienza». E cosa hanno fatto? si è chiesto il Papa. Invece di chiedergli spiegazioni sono passati alla calunnia per distruggerlo. «Siccome non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni, sono andati per la strada della lotta sporca: la calunnia». Trovarono falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo, contro la legge di Mosè, contro questo, contro quello». Lo stesso avevano fatto con Gesù.
Nella nostra epoca caratterizzata da «tante turbolenze spirituali», il Papa ha invitato a riflettere su un’icona medievale della Vergine. La Madonna che «copre con il suo manto il popolo di Dio». Anche la prima antifona latina della Vergine Maria è Sub tuum presidium. «Noi preghiamo la Madonna che ci protegga — ha detto il Pontefice — e nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna. È, infatti, la mamma che cura la Chiesa. E in questo tempo di martiri, lei un po’ la protagonista della protezione: è la mamma».
Il Papa ha quindi invitato ad avere fiducia in Maria, a rivolgerle la preghiera, che inizia con «Sotto la tua protezione», e a ricordare quell’antica icona dove «con il suo manto copre il suo popolo: è la mamma».

Niente chiacchiere, niente paura
L'Osservatore Romano
(13 aprile 2013)
Per risolvere i problemi della vita bisogna guardare in faccia la realtà, pronti, come il portiere di una squadra di calcio, a parare il pallone da qualunque parte arrivi. E senza cedere alla paura o alla tentazione della lamentela, perché Gesù è sempre accanto a ogni uomo, anche e soprattutto nei momenti più difficili. Lo ha detto Papa Francesco nella messa celebrata, la mattina di sabato 13 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Tra i presenti, il direttore dei servizi di sicurezza e protezione civile Domenico Giani con i familiari, agenti del corpo della Gendarmeria e dei Vigili del fuoco, la madre di monsignor Alfred Xuereb e alcuni disabili che stanno partecipando a un convegno in Vaticano.
Nel passo degli Atti degli apostoli (6, 1-7), proclamato nella prima lettura, «c’è un pezzo — ha spiegato il Pontefice — della storia dei primi giorni della Chiesa: la Chiesa cresceva, aumentava il numero dei discepoli», ma «in questo momento incominciano i problemi». Infatti, «quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica» perché nell’assistenza quotidiana venivano trascurate le vedove. «La vita — ha proseguito — non è sempre tranquilla e bella» e «la prima cosa che fanno è mormorare, chiacchierare uno contro l’altro: “Ma, guarda, c’è questo …”. Ma questo non porta ad alcuna soluzione, non dà soluzione».
Invece «gli apostoli, con l’assistenza dello Spirito Santo, hanno reagito bene. Hanno convocato il gruppo dei discepoli e hanno parlato. È il primo passo: quando ci sono difficoltà, bisogna guardarle bene, prenderle e parlarne. Mai nasconderle. La vita è così. La vita bisogna prenderla come viene, non come noi vogliamo che venga». È «un po’ — ha detto Papa Francesco ricorrendo a una metafora efficace e a lui cara — come il portiere della squadra, no?, che prende il pallone da dove viene. Questa è la realtà». Gli apostoli, dunque, «hanno parlato tra loro e hanno fatto una bella proposta, una proposta rivoluzionaria, perché hanno detto: “Ma noi siamo gli apostoli, quelli che Gesù ha scelto”. Ma quello non basta. Si sono accorti che il primo loro dovere era la preghiera e il servizio della Parola. “E per l’assistenza quotidiana alle vedove, dobbiamo fare un’altra cosa”». Così «hanno deciso di fare i diaconi».
«Una decisione — ha aggiunto il Papa — un po’ rischiosa in quel momento. Ma lo Spirito Santo li ha spinti a fare quello. Lo hanno fatto. Hanno scelto i diaconi, decisi. Non hanno detto: “Ma, domani vedremo, pazienza”. No, no. Hanno preso la decisione e il finale è tanto bello: “E la Parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente”. È bello. Quando ci sono i problemi, bisogna prenderli e il Signore ci aiuterà a risolverli».
Così «non dobbiamo avere paura dei problemi. Gesù stesso dice ai suoi discepoli: sono io, non abbiate paura, sono io! Sempre. Con le difficoltà della vita, con i problemi, con le nuove cose che dobbiamo prendere: il Signore è là. Possiamo sbagliare, davvero, ma Lui è sempre vicino a noi e dice: hai sbagliato, riprendi la strada giusta».
Un problema, ha detto il Papa, non si risolve se ci si limita a dire «a me non piace» e si comincia «a mormorare o a chiacchierare». E «non è un buon atteggiamento quello di truccare la vita, di fare il maquillage alla vita. No, no. La vita è come è. È la realtà. È come Dio vuole che sia o come Dio permette che sia. Ma è come è, e dobbiamo prenderla come è. Lo Spirito del Signore ci darà la soluzione ai problemi».
«Anche nel Vangelo — ha spiegato il Papa commentando il passo appena letto di san Giovanni (6, 16-21) — succede una cosa simile. I discepoli erano tutti contenti perché avevano visto che quei cinque pani non finivano più. Hanno dato da mangiare a tanta gente, a tante persone. Si avviarono verso l’altra riva, con la barca, e viene un forte vento: il mare si agita e hanno un po’ paura. Sono in difficoltà. E il Signore viene da loro per aiutarli. Si spaventano un po’, e Lui dice loro: “Non abbiate paura, sono io!”. Quella è la parola di Gesù, sempre: nelle difficoltà, nei momenti che sono bui, nei momenti dove tutto è oscuro e non sappiamo cosa fare, anche quando c’è buio nella nostra anima. La vita è così. Oggi viene così, con questo buio. Ma il Signore è là. Non abbiamo paura! Non abbiamo paura delle difficoltà, non abbiamo paura quando il nostro cuore è triste, è buio! Prendiamo le cose come vengono, con lo Spirito del Signore e l’aiuto dello Spirito Santo. E così andiamo avanti, sicuri su una strada giusta».
Papa Francesco ha concluso l’omelia con l’invito a chiedere «al Signore questa grazia: non avere paura, non truccare la vita» per essere capaci di «prendere la vita come viene e cercare di risolvere i problemi come hanno fatto gli apostoli. E cercare pure l’incontro con Gesù che sempre è affianco a noi, anche nei momenti più oscuri della vita».