domenica 20 novembre 2016

Vaticano
“Devia dalla fede”. L’ultimo affondo dei nemici del Papa
la Repubblica
(Alberto Melloni) Nella riunione dei cardinali — il “concistoro” — il pontefice discute con i suoi fratelli le cose di  maggior peso: fra queste “causae maiores” c’è la immissione di nuovi porporati nel collegio, che da  quasi mille anni elegge il successore di Pietro. Francesco aveva adunato per questo il concistoro in  corso: in coincidenza con la fine del giubileo straordinario di cui trarrà il bilancio la lettera  “Misericordia et misera” in uscita domani.
Sulla convocazione del concistoro però, s’è abbattuta una lettera al Papa di quattro cardinali  conservatori: che va ben al di là d’una “critica” al suo magistero. Esprimere obiezioni infatti è un  diritto di tutti ed è un dovere per i cardinali. Ma chiedere al Papa di “chiarire” alcune tesi della sua  esortazione sul matrimonio (e una intervista di Burke che la “spiega”), non è un dissenso, espresso a favore di telecamera da uomini rigidi: è un atto sottilmente eversivo, parte di un gioco  potenzialmente devastante, con ignoti mandanti, condotto sul filo della storia medievale. Una antichissima regola del diritto canonico stabilisce che se il Papa viene «sorpreso a deviare dalla fede» cessa di essere Papa: senza altri passi, a meno che la sua resistenza non costringa i cardinali o  il concilio a deporlo come eretico. Oggi la lettera dei cardinali non dice che Francesco è “a fide  devius”: ma pone una serie di premesse lunghe, forse volte a sondare gli umori del collegio; e  usando il lessico dell’Inquisizione, chiede a Francesco, come ad imputato, di spiegare cosa voleva  “davvero” dire sui divorziati e via dicendo. Francesco ha reagito: e come quando sembra che  improvvisi, è stato durissimo. È andato di persona alla Rota, con una mossa esplicita. Nell’intervista di venerdì a Stefania Falasca, su Avvenire, il Papa ha spiegato che chi lo attacca non capisce il cuore del vangelo cristiano. Ha predicato per molte settimane sulla divisione — e ieri sull’epidemia  dell’inimicizia che contagia la chiesa. E, oltre che contro i protestatari, s’è così posizionato contro  tutti quelli che nei giorni di questo concistoro hanno detto o diranno che «i quattro hanno torto,  però... ».
Perché sono loro il problema. L’area del “però” che in questi tre anni ha opposto al papa un muro di  gomma, che ha funzionato abbastanza bene, dal loro punto di vista: ha creato attorno a Francesco  una solitudine istituzionale che non ferisce la sua anima di gesuita e non mina il suo sonno  piemontese, ma ha preso tempo, come quando nella corrida si piantano sulla schiena del toro le  banderillas. E adesso pensa di tornare alla spada: in questo caso la spada dottrinale che da secoli era al museo.
Francesco ha contrattaccato: ponendo davanti a chi lo accusa l’istanza del vangelo. Ma lui che non  si sente solo per motivi teologici — «solo Dio basta » — assapora la solitudine istituzionale del  combattente eroico e stanco.
Il suo sforzo riformatore non ha infatti trovato nell’episcopato una risposta pronta: cade ad esempio  in questi giorni l’anniversario del discorso di Firenze, in cui strigliò la chiesa italiana, ma da cui  sono derivati cambiamenti così impercettibili che bisogna essere vescovi per accorgersene. La  riforma della curia non ha trovato la sua anima ecclesiologica: e si limita ancora a ristrutturare  mansionari e carriere, senza che la diagnosi profonda da cui nasceva produca soluzioni profonde.  Nel popolo e nelle comunità Francesco ha avuto consenso: ma non una vera ricezione della sua  teologia del povero: e sia la xenofobia dei paesi cattolici in Europa sia la stessa elezione del primo  presidente americano attaccato a viso aperto dal Papa — «chi fa muri non è cristiano», disse di  Trump — lo dimostra.
Il Papa continua dunque a sembrare invulnerabile: anche se è evidente che la sua decisione di non  riformare il sinodo dei vescovi, il non aver voluto conferire né a quello né al C9 poteri effettivi, ha  solleticato le tentazioni degli ammutinati visibili e invisibili. Reagisce a colpi di concilio e di  vangelo: ma non usa giri di parole per sottolineare l’irruenza reazionaria dei porporati anziani. E  che chi porta attacchi come questo non è un “scontento” o un “oppositore” ma qualcuno che punta a “dividere” la chiesa. Il che nel diritto canonico è un crimine, punibile.
All’inizio del giubileo Francesco aveva chiesto alle autorità gesti di clemenza verso i detenuti:  clemenza che lui per primo non ha mai applicato ai suoi imputati del processo detto Vatileaks. A  fine giubileo si capisce il perché: lui non vedeva in quel processo una procedura penale, ma un  gesto pedagogico verso gli avversari.
 Quelli che stanno cercando di ridurlo a un santo testimone, che si immedesima nella vita del povero  e nel destino dei vinti. E che hanno fatto un altro passo allo scoperto. Rischiando molto.