Traduzione in lingua italiana
Signor Presidente della Repubblica di Colombia, Dott. Juan Manuel Santos Carderón,
Signori Capi di Stato e di Governo,
Sua Maestà, Re Juan Carlos,
Signori Ministri e Signori Capi delle Delegazioni qui presenti,
Distinte Autorità colombiane e di altri Paesi,
Cari fratelli e sorelle nel Signore,
Desidero in primo luogo, trasmettere la vicinanza del Papa Francesco al caro popolo colombiano e alle sue Autorità, specialmente nella presente circostanza della firma dell’Accordo Finale fra il Governo della Colombia e le FARC-EP. Il Santo Padre ha seguito con grande attenzione gli sforzi di questi ultimi anni, alla ricerca della concordia e della riconciliazione. Diverse volte li ha incoraggiati, senza prendere parte alle soluzioni concrete che sono state negoziate, e sulle quali decideranno, in modo libero, consapevole e in coscienza, gli stessi cittadini. Il Papa ha sempre promosso il rispetto dei diritti umani e dei valori cristiani, che si trovano al centro della cultura colombiana.
Credo che tutti noi che siamo qui presenti siamo coscienti che, in fondo, siamo sì alla conclusione di un negoziato, ma anche all’inizio di un processo, ancora aperto, di cambiamento, che richiede l’apporto e il rispetto di tutti i colombiani.
Ci siamo riuniti per questa Liturgia della Parola nel suggestivo scenario di Cartagena delle Indie, la cui evoluzione nel tempo rappresenta, in un certo senso, la stessa storia dei questo Paese. Più di 350 anni fa, nel vecchio porto di Cartagena, San Pedro Claver trascorse la sua esistenza con ammirevole abnegazione e con carità straordinaria a favore degli schiavi portati dall’Africa.
Potremmo dire che, come secoli fa gli schiavi e i mercanti entravano nei porti malati e maltrattati, oggi molti colombiani viaggiano sradicati e doloranti, con la dignità ferita o strappata via.
Hanno affrontato tormente ed oscure nuvole nere, senza perdere la speranza. Hanno la necessità di essere riscattati e amati, hanno sete di acqua fresca.
I resti di San Pedro Claver riposano proprio sotto l’altare di questa chiesa, situata vicina al suo convento. In più di quarant’anni, egli seppe valorizzare la dignità di tanti esseri umani trattati come merce, sottomessi ad ogni sorta di atrocità, catturati e deportati dalle loro terre per essere schiavi.
Disponendosi ad incontrare con carità quelle vittime dell’ingiustizia, onorò la loro dignità e restituì loro la speranza.
Allo stesso modo, anche oggi Gesù ci attende per liberarci dalle catene della schiavitù, sia la nostra che quella che ci procurano gli altri. È ansioso di abbracciarci, di curare le nostre piaghe, di asciugare le nostre lacrime, di darci da mangiare e da bere pane e acqua di vita, di guardarci con amore nel profondo dell’anima, per sollevarci con le sue braccia verso un porto sicuro… Sappiamo che le sofferenze delle vittime, offerte ai piedi della Croce, si trasformano in un recipiente che accoglie la sua misericordia.
Nella lettera che vi ho inviato per esprimere il desiderio del Papa di visitare queste terre, ho detto che “è necessario assumere il rischio di trasformare con l’intera Chiesa, ogni parrocchia e ogni istituzione in un ospedale da campo, in un luogo sicuro nel quale si possano ritrovare coloro che hanno subito atrocità e coloro che hanno agito dal lato della violenza”. Evidentemente, è a partire dall’incontro che la Colombia deve alleviare il dolore di tanti suoi abitanti umiliati ed oppressi dalla
violenza, deve arrestare l’odio e cambiare la direzione della sua storia, per costruire un futuro migliore con istituzioni giuste e solide.
Il metodo più sicuro per dare inizio ad un futuro migliore è ricostruire la dignità di chi soffre e per fare questo è necessario avvicinarglisi senza alcun indugio, fino al punto da identificarsi con lui. In altre parole, la pace che anela la Colombia va oltre il pur necessario perfezionamento di determinate strutture o convenzioni, e trova il suo centro nella ricostruzione della persona: di fatto, le cause profonde del conflitto che negli ultimi decenni ha lacerato questo Paese si trovano nelle ferite del cuore.
Solo Dio ci dà la forza per affrontare tali problemi e, soprattutto, ci dà la capacità di identificarci con tutti quelli che soffrono per causa loro. Pertanto, in questo Paese di radici cattoliche, oggi ci siamo uniti in preghiera. Non consideriamo questo incontro come uno fra i tanti, ma piuttosto come una manifestazione di fiducia delle Autorità e di tutti quelli che ci seguono nella forza della preghiera a Dio. Questa liturgia è un’invocazione al Signore, il quale può concedere quello che
normalmente è impossibile alle sole forze umane: la luce per il cammino e per le decisioni che i colombiani devono liberamente prendere, il fervore del rispetto, dell’ascolto e del dialogo sereno che devono accompagnare tali decisioni.
La nostra preghiera testimonia inoltre, forse in modo quasi inconsapevole, quello che scrisse San Giovanni Paolo II quando venne in pellegrinaggio in Colombia: “Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione” (Sollicitudo Rei Socialis, 40). Per questo, chiediamo a Dio che ci conceda quell’eroicità nella solidarietà che è necessaria per colmare, nella verità e nella giustizia, l’abisso del male prodotto dalla violenza. E vogliamo ringraziarlo anche per aver sostenuto i colombiani nel mezzo delle situazioni di odio e di dolore, e per aver aperto i loro cuori, durante tanti anni, alla ferma speranza che la violenza e il conflitto sono evitabili: che si può costruire un futuro diverso, nel quale convivere senza massacrarsi e nel quale si mantengano convinzioni diverse, nella cornice del rispetto delle regole democratiche, della dignità umana e della tradizione cattolica di questa grande Nazione.
Con la prospettiva storica che ci offre la figura di San Pedro Claver e il suo tempo, la Colombia ha sperimentato nella propria carne, che - tra gli altri flagelli - l’ambizione del denaro e del potere e, a causa di essa, lo sfruttamento dell’uomo per mano dell’uomo, le deportazioni forzate, la violenza e il disconoscimento della dignità delle vittime insidiano in permanenza l’umanità. Nella presente congiuntura, preghiamo Dio per il futuro di questo diletto popolo, perché cammini sui sentieri della verità, della giustizia e della pace, secondo le parole del Salmo che abbiamo ora ascoltato.
Oggi desideriamo anche fare nostre le parole dell’Evangelista Matteo (cf. 5,3-11):
«Beati i colombiani poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli.
Beati i colombiani miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati i colombiani che piangono, perché saranno consolati.
Beati i colombiani che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i colombiani misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i colombiani puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati i colombiani che lavorano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i colombiani perseguitati per la giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli.
Beati sarete voi colombiani quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”.
Le religioni inducono ad ascoltare, a comprendere e a riconoscere le ragioni e il valore dell’altro. La fede si oppone all’offesa alla dignità della persona, che causa la lacerazione del tessuto civile, e non è contraria alla laicità, intesa come il rispetto delle distinte sfere di competenza della realtà civile e della spiritualità.
Di fatto, la laicità ha bisogno della fede, come necessario punto di riferimento per la convivenza e il rispetto. La Chiesa Cattolica in particolare, promuove la serena convivenza sociale, in accordo con le tradizioni spirituali dei colombiani, senza reclamare che tutti professino un’identica confessione religiosa e offre punti di riferimento perché le persone e la collettività possano trovare e apportare luce nella ricerca del bene comune.
Imploriamo Nostra Signora del Rosario di Chiquinquirá, Regina della Colombia, che ci protegga e interceda perché così sia.
Distinte Autorità colombiane e di altri Paesi,
Cari fratelli e sorelle nel Signore,
Desidero in primo luogo, trasmettere la vicinanza del Papa Francesco al caro popolo colombiano e alle sue Autorità, specialmente nella presente circostanza della firma dell’Accordo Finale fra il Governo della Colombia e le FARC-EP. Il Santo Padre ha seguito con grande attenzione gli sforzi di questi ultimi anni, alla ricerca della concordia e della riconciliazione. Diverse volte li ha incoraggiati, senza prendere parte alle soluzioni concrete che sono state negoziate, e sulle quali decideranno, in modo libero, consapevole e in coscienza, gli stessi cittadini. Il Papa ha sempre promosso il rispetto dei diritti umani e dei valori cristiani, che si trovano al centro della cultura colombiana.
Credo che tutti noi che siamo qui presenti siamo coscienti che, in fondo, siamo sì alla conclusione di un negoziato, ma anche all’inizio di un processo, ancora aperto, di cambiamento, che richiede l’apporto e il rispetto di tutti i colombiani.
Ci siamo riuniti per questa Liturgia della Parola nel suggestivo scenario di Cartagena delle Indie, la cui evoluzione nel tempo rappresenta, in un certo senso, la stessa storia dei questo Paese. Più di 350 anni fa, nel vecchio porto di Cartagena, San Pedro Claver trascorse la sua esistenza con ammirevole abnegazione e con carità straordinaria a favore degli schiavi portati dall’Africa.
Potremmo dire che, come secoli fa gli schiavi e i mercanti entravano nei porti malati e maltrattati, oggi molti colombiani viaggiano sradicati e doloranti, con la dignità ferita o strappata via.
Hanno affrontato tormente ed oscure nuvole nere, senza perdere la speranza. Hanno la necessità di essere riscattati e amati, hanno sete di acqua fresca.
I resti di San Pedro Claver riposano proprio sotto l’altare di questa chiesa, situata vicina al suo convento. In più di quarant’anni, egli seppe valorizzare la dignità di tanti esseri umani trattati come merce, sottomessi ad ogni sorta di atrocità, catturati e deportati dalle loro terre per essere schiavi.
Disponendosi ad incontrare con carità quelle vittime dell’ingiustizia, onorò la loro dignità e restituì loro la speranza.
Allo stesso modo, anche oggi Gesù ci attende per liberarci dalle catene della schiavitù, sia la nostra che quella che ci procurano gli altri. È ansioso di abbracciarci, di curare le nostre piaghe, di asciugare le nostre lacrime, di darci da mangiare e da bere pane e acqua di vita, di guardarci con amore nel profondo dell’anima, per sollevarci con le sue braccia verso un porto sicuro… Sappiamo che le sofferenze delle vittime, offerte ai piedi della Croce, si trasformano in un recipiente che accoglie la sua misericordia.
Nella lettera che vi ho inviato per esprimere il desiderio del Papa di visitare queste terre, ho detto che “è necessario assumere il rischio di trasformare con l’intera Chiesa, ogni parrocchia e ogni istituzione in un ospedale da campo, in un luogo sicuro nel quale si possano ritrovare coloro che hanno subito atrocità e coloro che hanno agito dal lato della violenza”. Evidentemente, è a partire dall’incontro che la Colombia deve alleviare il dolore di tanti suoi abitanti umiliati ed oppressi dalla
violenza, deve arrestare l’odio e cambiare la direzione della sua storia, per costruire un futuro migliore con istituzioni giuste e solide.
Il metodo più sicuro per dare inizio ad un futuro migliore è ricostruire la dignità di chi soffre e per fare questo è necessario avvicinarglisi senza alcun indugio, fino al punto da identificarsi con lui. In altre parole, la pace che anela la Colombia va oltre il pur necessario perfezionamento di determinate strutture o convenzioni, e trova il suo centro nella ricostruzione della persona: di fatto, le cause profonde del conflitto che negli ultimi decenni ha lacerato questo Paese si trovano nelle ferite del cuore.
Solo Dio ci dà la forza per affrontare tali problemi e, soprattutto, ci dà la capacità di identificarci con tutti quelli che soffrono per causa loro. Pertanto, in questo Paese di radici cattoliche, oggi ci siamo uniti in preghiera. Non consideriamo questo incontro come uno fra i tanti, ma piuttosto come una manifestazione di fiducia delle Autorità e di tutti quelli che ci seguono nella forza della preghiera a Dio. Questa liturgia è un’invocazione al Signore, il quale può concedere quello che
normalmente è impossibile alle sole forze umane: la luce per il cammino e per le decisioni che i colombiani devono liberamente prendere, il fervore del rispetto, dell’ascolto e del dialogo sereno che devono accompagnare tali decisioni.
La nostra preghiera testimonia inoltre, forse in modo quasi inconsapevole, quello che scrisse San Giovanni Paolo II quando venne in pellegrinaggio in Colombia: “Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione” (Sollicitudo Rei Socialis, 40). Per questo, chiediamo a Dio che ci conceda quell’eroicità nella solidarietà che è necessaria per colmare, nella verità e nella giustizia, l’abisso del male prodotto dalla violenza. E vogliamo ringraziarlo anche per aver sostenuto i colombiani nel mezzo delle situazioni di odio e di dolore, e per aver aperto i loro cuori, durante tanti anni, alla ferma speranza che la violenza e il conflitto sono evitabili: che si può costruire un futuro diverso, nel quale convivere senza massacrarsi e nel quale si mantengano convinzioni diverse, nella cornice del rispetto delle regole democratiche, della dignità umana e della tradizione cattolica di questa grande Nazione.
Con la prospettiva storica che ci offre la figura di San Pedro Claver e il suo tempo, la Colombia ha sperimentato nella propria carne, che - tra gli altri flagelli - l’ambizione del denaro e del potere e, a causa di essa, lo sfruttamento dell’uomo per mano dell’uomo, le deportazioni forzate, la violenza e il disconoscimento della dignità delle vittime insidiano in permanenza l’umanità. Nella presente congiuntura, preghiamo Dio per il futuro di questo diletto popolo, perché cammini sui sentieri della verità, della giustizia e della pace, secondo le parole del Salmo che abbiamo ora ascoltato.
Oggi desideriamo anche fare nostre le parole dell’Evangelista Matteo (cf. 5,3-11):
«Beati i colombiani poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli.
Beati i colombiani miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati i colombiani che piangono, perché saranno consolati.
Beati i colombiani che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i colombiani misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i colombiani puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati i colombiani che lavorano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i colombiani perseguitati per la giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli.
Beati sarete voi colombiani quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”.
Le religioni inducono ad ascoltare, a comprendere e a riconoscere le ragioni e il valore dell’altro. La fede si oppone all’offesa alla dignità della persona, che causa la lacerazione del tessuto civile, e non è contraria alla laicità, intesa come il rispetto delle distinte sfere di competenza della realtà civile e della spiritualità.
Di fatto, la laicità ha bisogno della fede, come necessario punto di riferimento per la convivenza e il rispetto. La Chiesa Cattolica in particolare, promuove la serena convivenza sociale, in accordo con le tradizioni spirituali dei colombiani, senza reclamare che tutti professino un’identica confessione religiosa e offre punti di riferimento perché le persone e la collettività possano trovare e apportare luce nella ricerca del bene comune.
Imploriamo Nostra Signora del Rosario di Chiquinquirá, Regina della Colombia, che ci protegga e interceda perché così sia.