Italia
(a cura Redazione “Il sismografo”)
(Luis Badilla – Francesco Gagliano) A seguito di una nostra intervista con il prof. Massimo Faggioli, pubblicata giovedì 14 scorso, e a proposito di alcune considerazioni da lui proposte sul Concilio Vaticano Ecumenico II, la sua ermeneutica, la sua applicazione e Papa Franceso, mons. Agostino Marchetto, Segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti, nonché conosciuto e autorevole studioso dell’assise conciliare, ci fece pervenire alcune sue osservazioni critiche.
Nel dibattito si sono inseriti poi altre considerazioni del prof. Andrea Grillo (“Francesco “non-tradizionalista” e “post-liberale”. A proposito di una intervista di M. Faggioli e una replica di A. Marchetto").
In questo contesto “Il Sismografo” ha ritenuto necessario e opportuno, come servizio ai suoi lettori, approfondire con mons. Marchetto il suo pensiero e le sue analisi e la richiesta di intervista ha avuto da parte del presule subito una generosa accoglienza. L'arcivescovo Agostino Marchetto ha risposto a cinque nostre domande incentrate tutte sulla questione “interpretazione e applicazione” del magistero conciliare. (Cenni biografici su mons. A. Marchetto in fondo)
1) Mons. Marchetto, se crede opportuno e necessario può approfondire le ragioni sul suo disaccordo con quanto ha detto a noi il prof. Faggioli: "La cosa che trovo interessante è che lui (il Santo Padre) parla pochissimo di Vaticano II mentre lo fa, lo applica costantemente e la cosa più affascinante è che non ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio, non è un tema da reinterpretare ma da attualizzare e realizzare."
(Luis Badilla – Francesco Gagliano) A seguito di una nostra intervista con il prof. Massimo Faggioli, pubblicata giovedì 14 scorso, e a proposito di alcune considerazioni da lui proposte sul Concilio Vaticano Ecumenico II, la sua ermeneutica, la sua applicazione e Papa Franceso, mons. Agostino Marchetto, Segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti, nonché conosciuto e autorevole studioso dell’assise conciliare, ci fece pervenire alcune sue osservazioni critiche.
Nel dibattito si sono inseriti poi altre considerazioni del prof. Andrea Grillo (“Francesco “non-tradizionalista” e “post-liberale”. A proposito di una intervista di M. Faggioli e una replica di A. Marchetto").
In questo contesto “Il Sismografo” ha ritenuto necessario e opportuno, come servizio ai suoi lettori, approfondire con mons. Marchetto il suo pensiero e le sue analisi e la richiesta di intervista ha avuto da parte del presule subito una generosa accoglienza. L'arcivescovo Agostino Marchetto ha risposto a cinque nostre domande incentrate tutte sulla questione “interpretazione e applicazione” del magistero conciliare. (Cenni biografici su mons. A. Marchetto in fondo)
1) Mons. Marchetto, se crede opportuno e necessario può approfondire le ragioni sul suo disaccordo con quanto ha detto a noi il prof. Faggioli: "La cosa che trovo interessante è che lui (il Santo Padre) parla pochissimo di Vaticano II mentre lo fa, lo applica costantemente e la cosa più affascinante è che non ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio, non è un tema da reinterpretare ma da attualizzare e realizzare."
● R. Vi sono grato per la vostra iniziativa di pormi alcune domande sul magno Sinodo - come io l'ho sempre chiamato - sullo spunto di quanto ho affermato a proposito di una asserzione costì del Prof. Faggioli, la seguente:"[il Santo Padre] no ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio".
Orbene solo affermavo che ciò non è vero e rimandavo al testo chiarissimo di due lettere a me indirizzate, da Papa Francesco, il Quale le volle pubbliche, che lo dimostrano. Lascio a ciascuno giudicare se sia stata autoreferenzialità o invece amore alla chiarezza-verità della posizione del Papa nostro, senza certo chiamare in causa tradizionalismo e post-liberalismo.
Ora mi chiedete una risposta dilatata all'intero contesto di tale affermazione. Lo faccio volentieri perché ritengo che il dialogo rispettoso tra persone di varie opinioni si debba fare - ma è cosa difficile e che spesso manca - pur riferendoci tutti all'interpretazione magisteriale del Vaticano II la quale esprime la visione cattolica di ciò che è un concilio ecumenico.
Dunque che il Papa "parli pochissimo di Vaticano II" non lo direi, penso però che le citazioni esplicite e dirette non siano molte, ma che il Vescovo di Roma vi si ispiri in tutto il suo insegnamento e nella sua azione ("lo applica [cioè] costantemente", come dichiara con giustezza Faggioli).
Che il Concilio non sia poi "tema da reinterpretare ma da attualizzare e realizzare" mi spinge a chiedere come sia possibile così fare senza una interpretazione corretta, autentica della fonte, cioè del Concilio stesso. E qui torniamo all'ermeneutica.
Ricordo comunque che il Padre Ives Congar espresse l'opinione che ci vorrà un secolo per attuare il Vaticano II e il P. Karl Rahner affermò che sarebbero state fatiche d'Ercole, ispirato dalle decorazioni pittoriche della sala in cui parlava.
Orbene solo affermavo che ciò non è vero e rimandavo al testo chiarissimo di due lettere a me indirizzate, da Papa Francesco, il Quale le volle pubbliche, che lo dimostrano. Lascio a ciascuno giudicare se sia stata autoreferenzialità o invece amore alla chiarezza-verità della posizione del Papa nostro, senza certo chiamare in causa tradizionalismo e post-liberalismo.
Ora mi chiedete una risposta dilatata all'intero contesto di tale affermazione. Lo faccio volentieri perché ritengo che il dialogo rispettoso tra persone di varie opinioni si debba fare - ma è cosa difficile e che spesso manca - pur riferendoci tutti all'interpretazione magisteriale del Vaticano II la quale esprime la visione cattolica di ciò che è un concilio ecumenico.
Dunque che il Papa "parli pochissimo di Vaticano II" non lo direi, penso però che le citazioni esplicite e dirette non siano molte, ma che il Vescovo di Roma vi si ispiri in tutto il suo insegnamento e nella sua azione ("lo applica [cioè] costantemente", come dichiara con giustezza Faggioli).
Che il Concilio non sia poi "tema da reinterpretare ma da attualizzare e realizzare" mi spinge a chiedere come sia possibile così fare senza una interpretazione corretta, autentica della fonte, cioè del Concilio stesso. E qui torniamo all'ermeneutica.
Ricordo comunque che il Padre Ives Congar espresse l'opinione che ci vorrà un secolo per attuare il Vaticano II e il P. Karl Rahner affermò che sarebbero state fatiche d'Ercole, ispirato dalle decorazioni pittoriche della sala in cui parlava.
Del resto solo 50 anni dopo la sua chiusura siamo riusciti a pubblicare il "Diario" conciliare di Mons. Pericle Felici, Segretario Generale del magno Sinodo e a leggere le "Memorie" sul Concilio del card. Léon-Joseph Suenens, due fonti non ufficiali, ma importanti per lo studio della storia sinodale che deve far da base alla giusta sua interpretazione per una corretta ricezione e attuazione del medesimo.
2) Dal suo punto di vista quale rilevanza ha l'ermeneutica dell'assise conciliare 50 anni dopo la sua chiusura? Si tratta di un "qualcosa" che ha un'incidenza concreta e sostanziale nella vita della Chiesa oggi? In altre parole: questa controversia appassionante è tuttora attuale e perché?
2) Dal suo punto di vista quale rilevanza ha l'ermeneutica dell'assise conciliare 50 anni dopo la sua chiusura? Si tratta di un "qualcosa" che ha un'incidenza concreta e sostanziale nella vita della Chiesa oggi? In altre parole: questa controversia appassionante è tuttora attuale e perché?
● R. Per farmi intendere meglio io parlo in genere di tre gradini necessari per affermare che il Concilio, quello dei Padri, ha raggiunto il suo scopo, ha avuto effetto, ha realizzato il suo fine di aggiornamento, di riforma o del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto Chiesa.
Il primo gradino è quello storico.
Il primo gradino è quello storico.
Dopo il grande avvenimento sinodale bisogna puntare a fare il più obiettivamente possibile la sua storia, che per me non è scienza teologica. Essa farà da base alla interpretazione (=ermeneutica) conciliare ( e qui siamo nella teologia oltre che nella storia) che è stata preoccupazione di tutti i Padri conciliari e post. Ma, secondo voi, non è giusto che il Magistero si occupi dell'interpretazione di un Concilio, e per di più pastorale, come del resto lo fa per la S. Scrittura e la Tradizione (Dei Verbum.10)?
Per questo la controversia che ne è sorta, appassionata ed ancora attuale, è indispensabile per poter giungere a chiederci: questa ricezione, questa attuazione, realizzazione del Concilio è veramente conciliare, o è invece altra cosa, frutto di una interpretazione personale, o preconcetta, o ideologica di un soggetto, di una comunità, o di una tendenza storiografica o di una Chiesa locale?
Per me quindi l'ermeneutica corretta, ha, deve avere una incidenza concreta e sostanziale nella vita dei fedeli, della Chiesa oggi, perché solo così sarà Popolo di Dio che ha debitamente "ricevuto" l'ultimo Concilio Ecumenico. Solo così sarà veramente Chiesa Cattolica in pienezza, che combina l'et...et, che è segno del "genio" del Cattolicesimo, come diceva Oscar Cullmann (teologo luterano al Concilio) e che porta perciò il suo contributo anche alla causa dell'unità dei cristiani.
Per questo la controversia che ne è sorta, appassionata ed ancora attuale, è indispensabile per poter giungere a chiederci: questa ricezione, questa attuazione, realizzazione del Concilio è veramente conciliare, o è invece altra cosa, frutto di una interpretazione personale, o preconcetta, o ideologica di un soggetto, di una comunità, o di una tendenza storiografica o di una Chiesa locale?
Per me quindi l'ermeneutica corretta, ha, deve avere una incidenza concreta e sostanziale nella vita dei fedeli, della Chiesa oggi, perché solo così sarà Popolo di Dio che ha debitamente "ricevuto" l'ultimo Concilio Ecumenico. Solo così sarà veramente Chiesa Cattolica in pienezza, che combina l'et...et, che è segno del "genio" del Cattolicesimo, come diceva Oscar Cullmann (teologo luterano al Concilio) e che porta perciò il suo contributo anche alla causa dell'unità dei cristiani.
L'ermeneutica è dunque fattore rivelatore di identità cattolica o meno. In essa non c'è rottura, ma riforma nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, pur in evoluzione omogenea. Riconosciamo peraltro, a questo riguardo, che ci sono oggi due interpretazioni estreme, le quali pur opposte tra di loro si accomunano ed esistevano pure durante il magno Sinodo. Gli estremi si toccano!
3) Quale rapporto evince Lei, mons. Marchetto, tra Papa Francesco, tra il suo pontificato, e il Concilio Vaticano Ecumenico II?
3) Quale rapporto evince Lei, mons. Marchetto, tra Papa Francesco, tra il suo pontificato, e il Concilio Vaticano Ecumenico II?
● R. Ho sempre sottolineato che anche Papa Francesco si dice figlio della Chiesa, il che vuol dire anche figlio del Concilio Vaticano II, e mi si capisca. Anzi egli si esprime non poche volte usando la formula ignaziana della "Santa Madre Chiesa gerarchica". E quale avvenimento realizza di più coralmente tale Chiesa gerarchica se non un Concilio?
Il pontificato francescano non ci sarebbe se non ci fosse stato il Vaticano II. E' un mio giudizio opinabile (sui "futuribili"?) - se vogliamo - ma che ha bisogno di una aggiunta e cioè un magno Sinodo "ricevuto" in America Latina, con le sue caratteristiche e il contributo di una teologia della liberazione veramente cristiana ed ecclesiale. (Mi esprimo sempre al plurale quando ad essa mi riferisco, perché plurali sono state, non dobbiamo dimenticarlo).
Il fatto poi che Papa Francesco sia il primo Vescovo di Roma postconciliare a non aver partecipato alla grande assise e per questo non si ponga, in fondo, la questione ermeneutica, non lo trovo pertinente né fondato. In ogni caso mi pare illogica l'insistenza su un Papa che "non ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio", che non vuole interpretarlo ma attuarlo. In effetti come si può attestare di così fare se non lo si interpreta, se non si è fedeli al suo spirito e ai testi approvati quasi all'unanimità, che lo incarna? Qui io trovo una questione che chiama in causa la ragione, oltre al cuore, per poter giudicare, valutare, cambiare anche, se si è andati fuori strada, in direzione non giusta, infedele, individualistica o mondana.
● 4) Rispetto alle decisioni e documenti del Concilio a suo avviso è possibile elencare, seppure sommariamente, gli aspetti in cui la Chiesa è in linea con i padre conciliari e in quelli altri in cui invece è in ritardo o non del tutto sufficiente?
Il pontificato francescano non ci sarebbe se non ci fosse stato il Vaticano II. E' un mio giudizio opinabile (sui "futuribili"?) - se vogliamo - ma che ha bisogno di una aggiunta e cioè un magno Sinodo "ricevuto" in America Latina, con le sue caratteristiche e il contributo di una teologia della liberazione veramente cristiana ed ecclesiale. (Mi esprimo sempre al plurale quando ad essa mi riferisco, perché plurali sono state, non dobbiamo dimenticarlo).
Il fatto poi che Papa Francesco sia il primo Vescovo di Roma postconciliare a non aver partecipato alla grande assise e per questo non si ponga, in fondo, la questione ermeneutica, non lo trovo pertinente né fondato. In ogni caso mi pare illogica l'insistenza su un Papa che "non ha mai mostrato interesse nella questione ermeneutica del Concilio", che non vuole interpretarlo ma attuarlo. In effetti come si può attestare di così fare se non lo si interpreta, se non si è fedeli al suo spirito e ai testi approvati quasi all'unanimità, che lo incarna? Qui io trovo una questione che chiama in causa la ragione, oltre al cuore, per poter giudicare, valutare, cambiare anche, se si è andati fuori strada, in direzione non giusta, infedele, individualistica o mondana.
● 4) Rispetto alle decisioni e documenti del Concilio a suo avviso è possibile elencare, seppure sommariamente, gli aspetti in cui la Chiesa è in linea con i padre conciliari e in quelli altri in cui invece è in ritardo o non del tutto sufficiente?
R. Non potrò qui certo analizzare i vari indirizzi conciliari per valutare lo stadio a cui sono giunti, per cui mi limiterò a tre nodi, diciamo così, fondamentali, premettendo che una Chiesa in linea con i Padri conciliari vuol dire sottolinearne la ricerca di consenso, di comunione, di quasi unanimità - se possibile -, che specialmente Papa Paolo volle il magno Sinodo esprimesse. Bisogna altresì considerare che quando parliamo di Chiesa non guardiamo solo all'universale ma alle Chiese locali e particolari. Ora qui troviamo situazioni abbastanza diverse anche rispetto al Vaticano II.
Dopo 20 anni passati in Africa e quasi 10 al Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli Itineranti, come Segretario, potrei forse parlare della Chiesa in tale continente, a proposito della ricezione conciliare, ma preferisco invece fermarmi sui grandi "nodi", come annunciavo.
Il primo nasce dall'intenzione che ci fu di completare il Vaticano I per quanto riguarda l'episcopato, in relazione anche all'esercizio del Primato del vescovo di Roma. Il magno Sinodo ha presentato dunque il Vescovo al sommo grado (pienezza) del sacramento dell'Ordine ed ha attestato una collegialità episcopale in senso stretto e largo, effettiva ed affettiva. In questa linea Paolo VI istituisce in Concilio il Sinodo dei Vescovi e anche qui ferve l'impegno per l'aggiornamento del suo regolamento, che dà occasione a considerazioni di sinodalità dilatata ma ben intesa e qui entra anche la visione aggiornata del laicato.
Sarà questione di combinare il tutto con un legittimo decentramento sempre in comunione con il Successore di Pietro, la sua "sollicitudo omnium ecclesiarum" (= cura sollecita per tutte le Chiese) e la "plenitudo potestatis" (pienezza della sacra potestà).
L'altro fondamentale nodo della visione conciliare è il tema per eccellenza del Vaticano II, che raccoglie tutti gli altri, e cioè la Chiesa, ad intra e ad extra e porta anche a dover bilanciare questa doppia dimensione ecclesiale, di una stessa Chiesa, con evidenti discussioni e tensioni. In ogni caso essa è per sua natura missionaria, e qui il Santo Padre sta insistendo molto.
Come terzo "nodo", o coagulo, o scansione, rammento quanto l'emerito Papa Benedetto scriveva, or non è molto, circa le due Dichiarazioni conciliari sulla libertà religiosa e sulle relazioni con le religioni non cristiane, con posto speciale per i rapporti con l'ebraismo. Il Papa emerito affermava che furono proprio questi due Documenti quelli che più hanno costituito la risposta alla ricerca del dialogo, voluta dal Concilio, con il mondo moderno (non significa qui contemporaneo), più che nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes. Per tutti - credo - risulta evidente che in effetti sono altresì attualissimi e da realizzare nella diversità di luoghi e situazioni e nell'evoluzione dei segni dei tempi, rispetto al momento conciliare.
5) Una sana "provocazione" caro mons. Marchetto: cosa ricava il cristiano semplice, non dotto né erudito, dalle riflessioni sul magistero conciliare? O detto in un altro modo: come arrivano al cuore e alla coscienza del buon cristiano gli insegnamenti conciliare?
Dopo 20 anni passati in Africa e quasi 10 al Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli Itineranti, come Segretario, potrei forse parlare della Chiesa in tale continente, a proposito della ricezione conciliare, ma preferisco invece fermarmi sui grandi "nodi", come annunciavo.
Il primo nasce dall'intenzione che ci fu di completare il Vaticano I per quanto riguarda l'episcopato, in relazione anche all'esercizio del Primato del vescovo di Roma. Il magno Sinodo ha presentato dunque il Vescovo al sommo grado (pienezza) del sacramento dell'Ordine ed ha attestato una collegialità episcopale in senso stretto e largo, effettiva ed affettiva. In questa linea Paolo VI istituisce in Concilio il Sinodo dei Vescovi e anche qui ferve l'impegno per l'aggiornamento del suo regolamento, che dà occasione a considerazioni di sinodalità dilatata ma ben intesa e qui entra anche la visione aggiornata del laicato.
Sarà questione di combinare il tutto con un legittimo decentramento sempre in comunione con il Successore di Pietro, la sua "sollicitudo omnium ecclesiarum" (= cura sollecita per tutte le Chiese) e la "plenitudo potestatis" (pienezza della sacra potestà).
L'altro fondamentale nodo della visione conciliare è il tema per eccellenza del Vaticano II, che raccoglie tutti gli altri, e cioè la Chiesa, ad intra e ad extra e porta anche a dover bilanciare questa doppia dimensione ecclesiale, di una stessa Chiesa, con evidenti discussioni e tensioni. In ogni caso essa è per sua natura missionaria, e qui il Santo Padre sta insistendo molto.
Come terzo "nodo", o coagulo, o scansione, rammento quanto l'emerito Papa Benedetto scriveva, or non è molto, circa le due Dichiarazioni conciliari sulla libertà religiosa e sulle relazioni con le religioni non cristiane, con posto speciale per i rapporti con l'ebraismo. Il Papa emerito affermava che furono proprio questi due Documenti quelli che più hanno costituito la risposta alla ricerca del dialogo, voluta dal Concilio, con il mondo moderno (non significa qui contemporaneo), più che nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes. Per tutti - credo - risulta evidente che in effetti sono altresì attualissimi e da realizzare nella diversità di luoghi e situazioni e nell'evoluzione dei segni dei tempi, rispetto al momento conciliare.
5) Una sana "provocazione" caro mons. Marchetto: cosa ricava il cristiano semplice, non dotto né erudito, dalle riflessioni sul magistero conciliare? O detto in un altro modo: come arrivano al cuore e alla coscienza del buon cristiano gli insegnamenti conciliare?
● R. Ricava anzitutto - mi auguro - un senso di ammirazione per la sua Chiesa che "si rimette in gioco" - mi si passi l'espressione - e ha saputo realizzare, nel secolo scorso, il suo più importante avvenimento ecclesiale. Il generale De Gaulle, anzi, affermò che fu il più grande avvenimento della storia tout court del XX secolo. Anche il cristiano "nè dotto, nè erudito" ha così nelle sue mani una bussola per orientarsi nel suo essere Chiesa e nel mondo, nella sua identità cristiana rinnovata pure dal discernimento, dalla lettura dei segni dei tempi, fedele alla Parola di Dio (S. Scrittura e Tradizione) e al Magistero della Chiesa, e in comunione con tutti i fratelli e sorelle nel vasto mondo, che diventa sempre più piccolo.
Pur nelle nostre difficoltà attuali, come si troverebbe il cattolico senza il riferimento a questo magno Sinodo? Come farebbe la Chiesa, cioè tutti noi, a impegnarsi nella prima o nuova evangelizzazione e nella promozione umana specialmente a favore di chi giace in qualsiasi genere di povertà, se non di miseria, senza tutta l'opera di rinnovamento anche nella ricerca di un "linguaggio" atto a tradurre (incarnare) oggi l'eterno e sempre nuovo messaggio di salvezza, di grazia, di misericordia, di liberazione e di pace che Cristo continuamente ci rivolge con il suo Evangelo e con la forza del suo Spirito Santo?
Mi chiedete, in altro modo: "Come arrivano al cuore e alla coscienza del buon cristiano gli insegnamenti conciliari"? Per l'indegno servo del Signore che sono - come prego ogni giorno durante la Santa Messa - credo che ciascuno di chi ci legge dovrebbe rispondere. Io, guardando l'entusiasmo che Papa Francesco, ripeto Papa conciliare, suscita ripresentando il Vangelo di Gesù Cristo, la sua misericordia, che è quella del Padre nello Spirito Santo, Spirito d'amore e di verità, la risposta pur timida è chiara: arrivano "attraverso il Papa", "figlio della Chiesa", figlio anche del Concilio Ecumenico Vaticano II.
E così concludiamo con Paolo VI: più di maestri abbiamo bisogno - e il mondo alla fine lo desidera- di testimoni. Rammento che dopo il Concilio di Trento si ebbe una fioritura straordinaria di grandi Santi. Orbene li attendiamo anche ora come frutto naturale-soprannaturale del Vaticano II. La loro spiritualità sarà quella indicata da tale magno Concilio, una spiritualità della comunione e della "missio Ecclesiae" (dunque "in sè e fuori di sè), in continuità peraltro con la grande Tradizione spirituale Cattolica.
***
L'arcivescovo Agostino Marchetto è nato a Vicenza il 28 agosto 1940 e in questa sua città natale fu ordinato prebitero il 28 giugno 1964. Il 31 agosto 1985, per decisione di s. Giovanni Paolo II, fu nominato arcivescovo titolare di Astigi con incarico di Nunzio apostolico in Madagascar e Mauritius. Ricevette la consacrazione episcopale il 1º novembre 1985 dal cardinale Sebastiano Baggio. Successivamente mons. Marchetto il 7 dicembre 1990 viene trasferito come Nunzio presso la Curia romana come officiale della Segreteria di Stato e il 6 novembre 2001 Giovanni Paolo II lo nominò segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Il 25 agosto 2010 al compimento dei 70 anni di età si ritirò dall'incarico per dedicarsi allo studio in particolare dell'ermeneutica del Concilio Vaticano II. Tra le sue opere più diffuse e conosciute ci sono tre titoli: Il Concilio Ecumenico Vaticano II - Per una sua corretta ermeneutica, Il Concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia e Chiesa e papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici.
Pur nelle nostre difficoltà attuali, come si troverebbe il cattolico senza il riferimento a questo magno Sinodo? Come farebbe la Chiesa, cioè tutti noi, a impegnarsi nella prima o nuova evangelizzazione e nella promozione umana specialmente a favore di chi giace in qualsiasi genere di povertà, se non di miseria, senza tutta l'opera di rinnovamento anche nella ricerca di un "linguaggio" atto a tradurre (incarnare) oggi l'eterno e sempre nuovo messaggio di salvezza, di grazia, di misericordia, di liberazione e di pace che Cristo continuamente ci rivolge con il suo Evangelo e con la forza del suo Spirito Santo?
Mi chiedete, in altro modo: "Come arrivano al cuore e alla coscienza del buon cristiano gli insegnamenti conciliari"? Per l'indegno servo del Signore che sono - come prego ogni giorno durante la Santa Messa - credo che ciascuno di chi ci legge dovrebbe rispondere. Io, guardando l'entusiasmo che Papa Francesco, ripeto Papa conciliare, suscita ripresentando il Vangelo di Gesù Cristo, la sua misericordia, che è quella del Padre nello Spirito Santo, Spirito d'amore e di verità, la risposta pur timida è chiara: arrivano "attraverso il Papa", "figlio della Chiesa", figlio anche del Concilio Ecumenico Vaticano II.
E così concludiamo con Paolo VI: più di maestri abbiamo bisogno - e il mondo alla fine lo desidera- di testimoni. Rammento che dopo il Concilio di Trento si ebbe una fioritura straordinaria di grandi Santi. Orbene li attendiamo anche ora come frutto naturale-soprannaturale del Vaticano II. La loro spiritualità sarà quella indicata da tale magno Concilio, una spiritualità della comunione e della "missio Ecclesiae" (dunque "in sè e fuori di sè), in continuità peraltro con la grande Tradizione spirituale Cattolica.
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L'arcivescovo Agostino Marchetto è nato a Vicenza il 28 agosto 1940 e in questa sua città natale fu ordinato prebitero il 28 giugno 1964. Il 31 agosto 1985, per decisione di s. Giovanni Paolo II, fu nominato arcivescovo titolare di Astigi con incarico di Nunzio apostolico in Madagascar e Mauritius. Ricevette la consacrazione episcopale il 1º novembre 1985 dal cardinale Sebastiano Baggio. Successivamente mons. Marchetto il 7 dicembre 1990 viene trasferito come Nunzio presso la Curia romana come officiale della Segreteria di Stato e il 6 novembre 2001 Giovanni Paolo II lo nominò segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Il 25 agosto 2010 al compimento dei 70 anni di età si ritirò dall'incarico per dedicarsi allo studio in particolare dell'ermeneutica del Concilio Vaticano II. Tra le sue opere più diffuse e conosciute ci sono tre titoli: Il Concilio Ecumenico Vaticano II - Per una sua corretta ermeneutica, Il Concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia e Chiesa e papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici.
Il recente libro di Vincenzo Carbone, «Il “diario” conciliare di monsignor Pericle Felici» (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2015, pagine 589) è stato curato dall’arcivescovo Agostino Marchetto, che ne firma la presentazione. L'opera è stata presentata mercoledì 18 novembre 2015 in Campidoglio. Durante l'incontro presieduto dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato - e coordinato dal vaticanista Paolo Rodari della Repubblica.it - sono intervenuti il cardinale Raffaele Farina, archivista e bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa; il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani; lo storico Riccardo Burigana, direttore del Centro per l’ecumenismo in Italia, e Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio. (Osservatore Romano - Avvenire)