giovedì 25 settembre 2014

Vaticano
I pedofili in casa
   
La Repubblica

(Joaquìn Navarro-Valls) La notizia è clamorosa. L’ex nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski, già dimesso dallo stato clericale nei mesi scorsi dalla Congregazione per la dottrina della fede per pedofilia, è stato arrestato martedì pomeriggio dalla magistratura civile del Vaticano, nell’ambito dell’inchiesta penale avviata a suo carico.
Si tratta di una azione penale importante. Sotto molti punti di vista. Il prelato, infatti, è stato sottoposto a provvedimento restrittivo a causa delle accuse tremende che gli sono state contestate. Aggravate oltretutto da alcune dichiarazioni che egli stesso ha rilasciato nell’estate dell’anno scorso nelle quali confessava pubblicamente di frequentare una spiaggia malfamata per l’adescamento a pagamento di minorenni.
CERTO , i fatti offrono prove, ma ancora più provata appare adesso la dura reazione della Santa Sede, la quale si è trovata legalmente attrezzata e moralmente pronta per gestire un reato così estremo e vergognoso contro la persona. In effetti, e i media lo hanno riportato ampiamente, la reazione di papa Francesco è stata inequivocabile e ferma, autorizzando l’ufficio inquirente a disporre provvisoriamente, per problemi documentati di salute, agli arresti domiciliari Wesolowski all’interno dello Stato della Città del Vaticano. In tal modo non solo l’imputato sarà processato a Roma, ma sarebbe possibile, eventualmente, una successiva estradizione.
Una notazione da tener presente è, quindi, che l’efficacia dell’intervento del Papa è stato possibile all’interno di una linea di rigore giuridico che da vent’anni, ossia da quando si è saputo dei primi abusi, la Chiesa ha mantenuto contro la pedofilia. Mi ricordo perfettamente con quanta rapida sollecitudine Giovanni Paolo II nel 2001 stabilì le norme che attribuivano proprio alla Congregazione per la dottrina della fede, guidata dall’allora cardinale Ratzinger, poteri speciali, tra cui l’incarico di indagare, valutare e sanzionare questi abusi gravissimi. Inol- tre, anche cambiando le norme del diritto canonico, Giovanni Paolo II concesse che per fare più rapido il corso della giustizia, la procedura poteva essere istruita per via amministrativa anziché seguendo antiche norme canoniche. Sebbene in molti frangenti non sempre tutti lo abbiano ricordato, a partire dal 2005 Benedetto XVI ha continuato su questa strada rigorista, finita nella famosa Lettera pastorale del 2010 ai cattolici d’Irlanda, ma emersa già cinque anni prima, nell’esclamazione durante la Via Crucis, poco prima di essere eletto Papa: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!».
Oggi, dunque, è giustissimo apprezzare la decisione di papa Francesco, ben sapendo però che essa è la logica e coerente conseguenza di un’impostazione pienamente attuata e totalmente condivisa dai suoi predecessori.
È però interessante quando si parla di que- sti temi porsi alcune domande di carattere generale. La prima è se vi sia qualche altra istituzione internazionale, al di fuori della Chiesa, che abbia deciso di combattere la pedofilia, allo stesso modo e con la stessa linearità.
Sì, perché i dati più recenti — pur sempre insufficienti poiché la maggioranza degli abusi non è dichiarata — ci forniscono un quadro tutt’altro che rassicurante: una ragazza su tre ha subito, nei paesi sviluppati, abusi sessuali, e un ragazzo su cinque è stato oggetto di violenza. L’Fbi, nel suo Law enforcement bulletin, afferma che le aggressioni sessuali a minori sono uno dei crimini meno denunciati: soltanto tra l’uno e il dieci per cento, vengono a alla luce. La Cnn calcola che i bambini sessualmente molestati sono il 5 % della popolazione media. Un numero a dir poco agghiacciante. Secondo Diana Russell, il 90 % degli abusi sessuali avviene in famiglia e resta chiuso nell’omertà. L’Ufficio statistico del ministero di giustizia americano afferma che in quasi la metà di abusi su minori, il ragazzo o ragazza era figlio o figlia oppure famigliare del colpevole di abuso.
I medici sappiamo qualcosa di tutto questo. Ma sappiamo anche che il profilo di un pedofilo non include mai adulti normali che sono attratti eroticamente da minori come il risultato di una astinenza temporanea o protratta nel tempo. Quindi non emerge clinicamente nessun legame tra pedofilia e celibato.
Allora, è necessario cercare di vedere il problema in tutta la sua tremenda dimensione. La vera malattia non è la Chiesa, ma la pedofilia. Soprattutto perché essa esprime con brutalità e violenza un perversione che si annida tra le persone “comuni” ed anche — purtroppo — dietro le mura domestiche, ossia proprio laddove i bambini generalmente vivono. Non si tratta di condannare nessuno, ovviamente, ma di chiedersi semmai chi affronta veramente questi abusi spalmati nella società; e con quali strumenti culturali, legali e penali è possibile accertarli e poi punirli.
Se, infatti, è vero che la pedofilia è una piaga umana che anche la Chiesa sta conoscendo, è anche vero che la Chiesa stessa è l’unica realtà comunitaria e istituzionale che stia efficacemente intervenendo per estirparla sia penalmente, sia canonicamente e sia culturalmente.
Il resto, fa solo notizia. Certamente notizia giusta, però incompleta.
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