Per comprendere meglio i Vangeli. Alla luce delle antiche biografie
L'Osservatore Romano
(Richard A. Burridge, Premio Ratzinger 2013) Uno dei due vincitori — insieme a Christian Schaller — del Premio Joseph Ratzinger 2013 ha sintetizzato per il nostro giornale la relazione tenuta il 24 ottobre alla Pontificia Università Lateranense in occasione del simposio della Fondazione Joseph Ratzinger che si è concluso sabato mattina nell’Aula vecchia del Sinodo in Vaticano.
di RICHARD A. BURRIDGE
La Dei Verbum afferma molto chiaramente che la Rivelazione avviene per Christum, Verbum carnem factum, ovvero «per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne» (n. 2). Pertanto, la cristologia è fondamentale per comprendere come Dio agisce nella storia e per interpretare i Vangeli quale testimonianza primaria delle parole e delle azioni di Gesù Cristo. Per comprendere le intenzioni degli evangelisti, è necessario comprendere il genere letterario dei Vangeli. Il giovane Joseph Ratzinger è stato un peritus (consulente teologico) del cardinale di Colonia Frings durante il concilio Vaticano II e nel 1968 ha scritto un commento alla Dei Verbum.
Dopo essere diventato Papa Benedetto, ha convocato un Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2008 e ha pubblicato l’esortazione apostolica post-sinodale sulla Parola di Dio Verbum Domini (2010), nella quale ribadiva che il concilio Vaticano II vede nello studio dei generi letterari e del contesto storico elementi fondamentali per cogliere il significato inteso dall’agiografo (n. 34). Lo si può vedere nei tre volumi della sua biografia di Gesù di Nazaret, pubblicati nel 2007, 2011 e 2012. Nell’introduzione sottolinea nuovamente l’importanza della cristologia e della storia, concludendo che «la dimensione cristologica (...) è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù» (p. 28). Questo ci fa chiedere a quale genere letterario appartengano i Vangeli, e come possono essere utilizzati per scrivere una biografia di Gesù.
Alcuni studiosi tedeschi come Karl Ludwig Schmidt e Rudolf Bulmann sostenevano che i Vangeli fossero sui generis, unici. Lo sviluppo di un approccio critico strutturalista si concentrò invece sulla forma di singoli passi evangelici, e il dibattito sulla domanda se questi racconti fossero più mitici che storici. Su tale sfondo, il modo migliore per capire Papa Benedetto è considerare i suoi scritti come reazione a questo ambiente scientifico tedesco, specialmente nella tradizione liberale protestante. Negli anni Sessanta dello scorso secolo, però, lo sviluppo della critica “redazionale” portò di nuovo a considerare gli evangelisti come teologi e scrittori e ci si tornò a chiedere a quale genere appartenessero i Vangeli, in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, da parte di studiosi come Graham Stanton, Charles Talbert e David Aune.
La ricerca che ho svolto per il mio dottorato analizzava le teorie antiche e moderne relative al genere, sottolineandone l’importanza sia per la composizione sia per l’interpretazione dei testi. Servendomi dell’idea di Wittgenstein di una serie di caratteristiche che rivelano “somiglianze familiari”, ho fatto un confronto dettagliato delle caratteristiche del genere dei quattro Vangeli con quelle riscontrate in un’ampia serie di biografie greco-romane di un periodo compreso tra un paio di secoli prima e un paio di secoli dopo la scrittura dei Vangeli. Come la maggior parte delle vite antiche, i Vangeli sono una narrazione in prosa continua di lunghezza media (10 mila - 20 mila parole, circa la lunghezza che entrava in un singolo rotolo), con una linea cronologica essenziale che va dall’esordio pubblico alla morte della persona di cui si parla, con inserti di altro materiale, organizzato per argomenti. Ho scoperto che anche la grande quantità di spazio che i Vangeli dedicano al racconto della morte di Gesù e degli eventi successivi (15-20 per cento) è molto simile a quanto riscontrato nelle biografie antiche, poiché si riteneva che il modo in cui una persona moriva, con le sue ultime parole e azioni, sintetizzasse la sua vita. Infine, ho esaminato con attenzione la distribuzione dei soggetti ai quali sono riferiti i verbi nella letteratura antica, ed è risultato che solitamente le biografie dedicavano quasi metà del loro contenuto alle parole e alle azioni della persona descritta. In modo analogo, Gesù è il soggetto del 25 per cento in Marco, più un 20 per cento che corrisponde a ciò che dice nei suoi insegnamenti e nelle parabole. Matteo e Luca parlano di Gesù per il 18 per cento del testo, mentre circa per il 40 per cento parla in prima persona. Circa la metà dei verbi utilizzati da Giovanni o ha Gesù come soggetto, o proviene dalle sue labbra.
Pertanto, il modo migliore per comprendere i Vangeli è capire che fanno parte del genere della biografia greco-romana, che sottolinea la centralità delle azioni e delle parole di Gesù, la sua vita e il suo ministero, la sua morte e la sua risurrezione; e quindi devono essere interpretati in senso cristologico. Quando il mio lavoro venne pubblicato per la prima volta nel 1992, si scontrò con l’opinione generale degli studiosi secondo cui i Vangeli erano unici; nel corso del decennio successivo, però, questa ipotesi “biografica” venne accettata dalla maggior parte degli esperti del Nuovo Testamento. Questo mi ha portato a pubblicare una seconda edizione di What are the Gospels? A Comparison with Graeco-Roman Biography (Eerdmans 2004), tradotta in italiano con il titolo Che cosa sono i vangeli? (Paideia Editrice Francesco De Nicola, 2008).
Nel mio intervento al simposio della Fondazione Joseph Ratzinger ho, tra l’altro, esaminato le implicazioni e le conseguenze di questo genere biografico in altri ambiti della ricerca. I vangeli non canonici guardano o all’inizio o alla fine della vita di Gesù (vangeli dell’infanzia o vangeli della Passione), mentre altri tendono a concentrarsi su quanto detto da Gesù (per esempio il Vangelo di Tommaso) o sui discorsi gnostici sul Cristo risorto. Pertanto non fanno parte del genere biografico. Inoltre, mentre i singoli racconti del Vangelo spesso sono affiancati da aneddoti nella tradizione ebraica, colpisce la totale assenza di qualunque biografia di rabbini antichi. Questo succede perché l’elemento centrale dei racconti rabbinici è sempre la loro interpretazione della Torah; la scelta di riunire tutti i racconti come biografia nei Vangeli pone Gesù al centro, avanzando quindi una pretesa cristologica. Allo stesso modo, oggi l’uso dei Vangeli nel dibattito etico si concentra spesso sugli insegnamenti biblici piuttosto che sulla narrazione; così, l’etica rigorosa nelle parole di Gesù deve essere controbilanciata dal suo atteggiamento inclusivo verso coloro che hanno difficoltà morali e gli emarginati attraverso i suoi gesti. Il nostro approccio biografico ai Vangeli tiene unite le sue parole e le sue azioni: «Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio» (Atti, 1, 1).
La cosa straordinaria è che gli antichi padri della Chiesa, guidati dallo Spirito Santo, erano determinati a mantenere i quattro Vangeli con i loro vari ritratti di Gesù. Ho scoperto che le immagini tradizionali delle quattro creature viventi — leone, bue, aquila e volto umano — trovate in Ezechiele, 1, Apocalisse, 4, e applicate ai Vangeli da Ireneo, Adversus Haereses, III 11,8-90, possono esser molto utili per descrivere i quattro ritratti di Gesù nei Vangeli.
Così, l’immagine del leone di Marco corrisponde al suo racconto di Gesù che corre qua e là per la Galilea dinanzi al crescente contrasto con le guide religiose, che alla fine porterà alla sua Passione e morte a Gerusalemme, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Marco, 15, 34). Il volto umano di Matteo, invece, descrive Gesù come maestro d’Israele, che insegna dalle montagne come Mosè, ma che viene respinto, giungendo alla costituzione della Chiesa. L’immagine tradizionale di Luca del bue quale animale da lavoro rispecchia la sua descrizione di Gesù nella sua preoccupazione per i poveri e gli emarginati, le donne e i non ebrei, giungendo ancora al racconto della croce, dove Gesù consola le donne di Gerusalemme, perdona i suoi aguzzini e affida il proprio spirito al Padre celeste (Luca, 23, 37-31, 34, 43, 46). Infine, l’aquila di san Giovanni, che vola alta e tutto vede, abbraccia in maniera splendida il suo ritratto del Verbo divino che si fa carne in mezzo a noi in Gesù di Nazaret. Dunque trattare separatamente i quattro ritratti evangelici di Gesù consente di far entrare la diversità e la pluralità nell’ambito del canone, cosa che non accadrebbe con un unico, singolo racconto. Per concludere, il mio approccio biografico ai Vangeli ben si accorda con la preoccupazione espressa nella costituzione dogmatica del concilio Vaticano II Dei Verbum, riguardo sia la cristologia, sia la storia, di comprendere le azioni e le parole di Gesù, il quale ci rivela Dio in forma umana. Il Papa emerito Benedetto certamente ha ragione quando afferma che è necessaria un’ermeneutica cristologica per comprendere correttamente i Vangeli. Interpretarli alla luce delle antiche biografie ribadisce per noi la centralità della persona di Gesù di Nazaret.
L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2013.
di RICHARD A. BURRIDGE
La Dei Verbum afferma molto chiaramente che la Rivelazione avviene per Christum, Verbum carnem factum, ovvero «per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne» (n. 2). Pertanto, la cristologia è fondamentale per comprendere come Dio agisce nella storia e per interpretare i Vangeli quale testimonianza primaria delle parole e delle azioni di Gesù Cristo. Per comprendere le intenzioni degli evangelisti, è necessario comprendere il genere letterario dei Vangeli. Il giovane Joseph Ratzinger è stato un peritus (consulente teologico) del cardinale di Colonia Frings durante il concilio Vaticano II e nel 1968 ha scritto un commento alla Dei Verbum.
Dopo essere diventato Papa Benedetto, ha convocato un Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2008 e ha pubblicato l’esortazione apostolica post-sinodale sulla Parola di Dio Verbum Domini (2010), nella quale ribadiva che il concilio Vaticano II vede nello studio dei generi letterari e del contesto storico elementi fondamentali per cogliere il significato inteso dall’agiografo (n. 34). Lo si può vedere nei tre volumi della sua biografia di Gesù di Nazaret, pubblicati nel 2007, 2011 e 2012. Nell’introduzione sottolinea nuovamente l’importanza della cristologia e della storia, concludendo che «la dimensione cristologica (...) è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù» (p. 28). Questo ci fa chiedere a quale genere letterario appartengano i Vangeli, e come possono essere utilizzati per scrivere una biografia di Gesù.
Alcuni studiosi tedeschi come Karl Ludwig Schmidt e Rudolf Bulmann sostenevano che i Vangeli fossero sui generis, unici. Lo sviluppo di un approccio critico strutturalista si concentrò invece sulla forma di singoli passi evangelici, e il dibattito sulla domanda se questi racconti fossero più mitici che storici. Su tale sfondo, il modo migliore per capire Papa Benedetto è considerare i suoi scritti come reazione a questo ambiente scientifico tedesco, specialmente nella tradizione liberale protestante. Negli anni Sessanta dello scorso secolo, però, lo sviluppo della critica “redazionale” portò di nuovo a considerare gli evangelisti come teologi e scrittori e ci si tornò a chiedere a quale genere appartenessero i Vangeli, in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, da parte di studiosi come Graham Stanton, Charles Talbert e David Aune.
La ricerca che ho svolto per il mio dottorato analizzava le teorie antiche e moderne relative al genere, sottolineandone l’importanza sia per la composizione sia per l’interpretazione dei testi. Servendomi dell’idea di Wittgenstein di una serie di caratteristiche che rivelano “somiglianze familiari”, ho fatto un confronto dettagliato delle caratteristiche del genere dei quattro Vangeli con quelle riscontrate in un’ampia serie di biografie greco-romane di un periodo compreso tra un paio di secoli prima e un paio di secoli dopo la scrittura dei Vangeli. Come la maggior parte delle vite antiche, i Vangeli sono una narrazione in prosa continua di lunghezza media (10 mila - 20 mila parole, circa la lunghezza che entrava in un singolo rotolo), con una linea cronologica essenziale che va dall’esordio pubblico alla morte della persona di cui si parla, con inserti di altro materiale, organizzato per argomenti. Ho scoperto che anche la grande quantità di spazio che i Vangeli dedicano al racconto della morte di Gesù e degli eventi successivi (15-20 per cento) è molto simile a quanto riscontrato nelle biografie antiche, poiché si riteneva che il modo in cui una persona moriva, con le sue ultime parole e azioni, sintetizzasse la sua vita. Infine, ho esaminato con attenzione la distribuzione dei soggetti ai quali sono riferiti i verbi nella letteratura antica, ed è risultato che solitamente le biografie dedicavano quasi metà del loro contenuto alle parole e alle azioni della persona descritta. In modo analogo, Gesù è il soggetto del 25 per cento in Marco, più un 20 per cento che corrisponde a ciò che dice nei suoi insegnamenti e nelle parabole. Matteo e Luca parlano di Gesù per il 18 per cento del testo, mentre circa per il 40 per cento parla in prima persona. Circa la metà dei verbi utilizzati da Giovanni o ha Gesù come soggetto, o proviene dalle sue labbra.
Pertanto, il modo migliore per comprendere i Vangeli è capire che fanno parte del genere della biografia greco-romana, che sottolinea la centralità delle azioni e delle parole di Gesù, la sua vita e il suo ministero, la sua morte e la sua risurrezione; e quindi devono essere interpretati in senso cristologico. Quando il mio lavoro venne pubblicato per la prima volta nel 1992, si scontrò con l’opinione generale degli studiosi secondo cui i Vangeli erano unici; nel corso del decennio successivo, però, questa ipotesi “biografica” venne accettata dalla maggior parte degli esperti del Nuovo Testamento. Questo mi ha portato a pubblicare una seconda edizione di What are the Gospels? A Comparison with Graeco-Roman Biography (Eerdmans 2004), tradotta in italiano con il titolo Che cosa sono i vangeli? (Paideia Editrice Francesco De Nicola, 2008).
Nel mio intervento al simposio della Fondazione Joseph Ratzinger ho, tra l’altro, esaminato le implicazioni e le conseguenze di questo genere biografico in altri ambiti della ricerca. I vangeli non canonici guardano o all’inizio o alla fine della vita di Gesù (vangeli dell’infanzia o vangeli della Passione), mentre altri tendono a concentrarsi su quanto detto da Gesù (per esempio il Vangelo di Tommaso) o sui discorsi gnostici sul Cristo risorto. Pertanto non fanno parte del genere biografico. Inoltre, mentre i singoli racconti del Vangelo spesso sono affiancati da aneddoti nella tradizione ebraica, colpisce la totale assenza di qualunque biografia di rabbini antichi. Questo succede perché l’elemento centrale dei racconti rabbinici è sempre la loro interpretazione della Torah; la scelta di riunire tutti i racconti come biografia nei Vangeli pone Gesù al centro, avanzando quindi una pretesa cristologica. Allo stesso modo, oggi l’uso dei Vangeli nel dibattito etico si concentra spesso sugli insegnamenti biblici piuttosto che sulla narrazione; così, l’etica rigorosa nelle parole di Gesù deve essere controbilanciata dal suo atteggiamento inclusivo verso coloro che hanno difficoltà morali e gli emarginati attraverso i suoi gesti. Il nostro approccio biografico ai Vangeli tiene unite le sue parole e le sue azioni: «Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio» (Atti, 1, 1).
La cosa straordinaria è che gli antichi padri della Chiesa, guidati dallo Spirito Santo, erano determinati a mantenere i quattro Vangeli con i loro vari ritratti di Gesù. Ho scoperto che le immagini tradizionali delle quattro creature viventi — leone, bue, aquila e volto umano — trovate in Ezechiele, 1, Apocalisse, 4, e applicate ai Vangeli da Ireneo, Adversus Haereses, III 11,8-90, possono esser molto utili per descrivere i quattro ritratti di Gesù nei Vangeli.
Così, l’immagine del leone di Marco corrisponde al suo racconto di Gesù che corre qua e là per la Galilea dinanzi al crescente contrasto con le guide religiose, che alla fine porterà alla sua Passione e morte a Gerusalemme, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Marco, 15, 34). Il volto umano di Matteo, invece, descrive Gesù come maestro d’Israele, che insegna dalle montagne come Mosè, ma che viene respinto, giungendo alla costituzione della Chiesa. L’immagine tradizionale di Luca del bue quale animale da lavoro rispecchia la sua descrizione di Gesù nella sua preoccupazione per i poveri e gli emarginati, le donne e i non ebrei, giungendo ancora al racconto della croce, dove Gesù consola le donne di Gerusalemme, perdona i suoi aguzzini e affida il proprio spirito al Padre celeste (Luca, 23, 37-31, 34, 43, 46). Infine, l’aquila di san Giovanni, che vola alta e tutto vede, abbraccia in maniera splendida il suo ritratto del Verbo divino che si fa carne in mezzo a noi in Gesù di Nazaret. Dunque trattare separatamente i quattro ritratti evangelici di Gesù consente di far entrare la diversità e la pluralità nell’ambito del canone, cosa che non accadrebbe con un unico, singolo racconto. Per concludere, il mio approccio biografico ai Vangeli ben si accorda con la preoccupazione espressa nella costituzione dogmatica del concilio Vaticano II Dei Verbum, riguardo sia la cristologia, sia la storia, di comprendere le azioni e le parole di Gesù, il quale ci rivela Dio in forma umana. Il Papa emerito Benedetto certamente ha ragione quando afferma che è necessaria un’ermeneutica cristologica per comprendere correttamente i Vangeli. Interpretarli alla luce delle antiche biografie ribadisce per noi la centralità della persona di Gesù di Nazaret.
L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2013.